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Responsabilità editoriale di ASviS

Oms: le mutilazioni genitali fanno male alle donne e all’economia

Spesi 1,4 miliardi di dollari all'anno in cure sanitarie.

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Una pratica rischiosa per la salute delle donne, una violazione dei diritti fondamentali, un crimine condannato dalle Nazioni unite. Tutto questo sono le mutilazioni genitali femminili. Un trattamento che è anche economicamente insostenibile per i Paesi dove viene ancora eseguito. I costi delle cure necessarie a rimediare ai danni alla salute provocati dai tagli effettuati sugli organi riproduttivi soprattutto su bambine tra i cinque e i 15 anni sono, infatti, altissimi.

Secondo un documento dell’Organizzazione mondiale della sanità dal titolo “Fgm Cost Calculator”, diffuso il 6 febbraio in occasione della Giornata internazionale della tolleranza zero per le mutilazioni genitali femminili (Mgf), l’impatto economico globale provocato da questi trattamenti è di 1,4 miliardi di dollari all’anno. Utilizzando i dati di 27 Paesi in cui la pratica è ancora diffusa, i ricercatori hanno simulato i vantaggi economici che deriverebbero dalla rinuncia a una prassi così pericolosa. Se si smettesse ora di eseguire le mutilazioni genitali femminili, entro il 2050 si registrerebbe un risparmio in costi per la salute pari al 60%. Al contrario, se non venisse intrapresa alcuna azione, i costi sanitari sarebbero destinati ad aumentare del 50% nello stesso periodo di tempo, dato l’aumento demografico previsto e il maggior numero di ragazze sottoposte alle mutilazioni. Ogni Paese destina circa il 10% dell’intera spesa annuale in assistenza per le vittime delle mutilazioni genitali, una quota che in taluni casi può arrivare addirittura al 30%.

Attualmente si stima che nel mondo vivano più di 200 milioni di donne che sono state sottoposte alle mutilazioni genitali femminili, concentrate in 30 Paesi tra Africa, Medio Oriente e Asia. Le mutilazioni genitali femminili rappresentano dunque una preoccupazione globale. In alcuni casi vengono operate bambine con meno di un anno di vita, come accade nel 44% dei casi in Eritrea e nel 29% dei casi in Mali, o persino neonate di pochi giorni, come nello Yemen.

Le bambine e le donne che hanno subito mutilazioni genitali corrono gravi rischi per la loro salute fisica e mentale. Nell’immediato c’è il pericolo di infezioni, emorragie, traumi psicologici. A lungo termine, possono insorgere complicazioni durante il parto, malattie psichiche e infezioni croniche, dolori durante il ciclo mestruale o durante i rapporti sessuali.

Dal 1997 sono stati fatti grandi sforzi per porre fine alle mutilazioni genitali femminili, attraverso il lavoro all’interno delle comunità, la ricerca e i cambiamenti nella legislazione degli Stati. 26 Paesi in Africa e in Medio Oriente ora hanno leggi che vietano esplicitamente le mutilazioni genitali. In occasione della Giornata internazionale del 6 febbraio, l’Unicef ha chiesto alla comunità internazionale un maggiore impegno per porre fine definitivamente entro il 2030 a questo orribile atto di violenza di genere, così come promesso al momento di sottoscrivere l’Agenda degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Dal 2007, inoltre, il programma congiunto di Unicef e Fondo delle Nazioni unite per la popolazione (Unfpa) ha posto fine alle Mgf in migliaia di comunità di villaggio africane.

I tassi di mutilazioni genitali femminili sono diminuiti negli ultimi 30 anni, ma non abbastanza da tenere il passo con la crescita demografica. Se la tendenza rimane questa, il numero di ragazze e donne che subiscono questi trattamenti aumenterà in modo significativo nei prossimi 15 anni. Secondo l’Oms, sarà fondamentale investire risorse aggiuntive per campagne di sensibilizzazione e di reale contrasto alle Mgf.

 

di Andrea De Tommasi

Responsabilità editoriale e i contenuti sono a cura di ASviS


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