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ANSA/ Sisma L'Aquila: Alessia, 16 anni, ho ancora paura

Lettera alla mamma. 'Quei morti si potevano evitare'

(ANSA) - L'AQUILA, 5 APR - "Sono passati cinque anni. Alcuni pensano che sono pochi, altri pensano che sono molti, ma il frastuono della terra che si muove, le urla, il rumore assordante di quelle ambulanze riecheggia nelle nostre orecchie.
    I ricordi ci sovrastano la mente e ci viene solo da dire 'perché proprio a NOI, che cosa abbiamo fatto?'. Dopo cinque anni ancora non mi sento a casa, ho ancora paura, ancora sento quel boato immenso di quell'orribile mostro". E' l'inizio della lettera scritta da Alessia, una ragazza di 16 anni che frequenta il Liceo Scientifico opzione Scienze applicate dell'Itis dell' Aquila, appena tornata a casa da scuola. "Mi è venuta di getto", ha detto. E l'ha mandata alla mamma su whatsapp.
    Questa notte la ricorrenza, con la fiaccolata nel centro storico del capoluogo abruzzese. Poi i 309 rintocchi delle campane per le 309 vittime alle 3:32. E nella testa ancora quelle immagini indelebili delle macerie, delle grida, dei morti.
    "Sono passati cinque anni - scrive la studentessa - e solo ora, quando mi affaccio dal balcone che guarda le mura del centro, vedo gru, vedo alcuni lavoratori, sento i rumori degli operai che lavorano incessantemente nei cantieri. Tutto questo perché non si poteva fare prima? Sono morti anziani con la speranza di rivedere la loro città ricostruita, almeno in parte, ma sono morti vedendo macerie".
    "Penso che - ricorda Alessia - non riuscirò mai a rivedere L'Aquila come l'ho vista il sabato del 5 aprile 2009. C'erano molti ragazzi, persone che si amavano camminando mano nella mano, anziani che prendevano il gelato e ammiravano la loro città, non faceva tanto caldo, era una serata calma e tranquilla. Si sentivano risate, schiamazzi e parole. Un susseguirsi di parole che si incontravano sotto i portici della mia città. C'era allegria. C'è sempre stata allegria qui. Quasi nessuno sapeva dove era collocata L'Aquila, dopo quel giorno anche i paesi del terzo mondo conoscevano il nostro disastro, tutti sapevano dove eravamo e volevano venire a vedere le nostre ferite aperte e schiacciate dai sassi".
    "Dopo cinque anni - osserva la ragazza - si sta cercando di ridare un po' di vita a questa città piena di spaccature, crepe e voragini. Ancora oggi piangiamo le nostre vittime come abbiamo pianto in quell'orribile notte. Ancora oggi c'è speranza nei nostri cuori. Il simbolo più evidente sono i colori della nostra bandiera che sventola ogni volta che passiamo vicino al castello. Il nero, il simbolo del lutto, e il verde, la speranza che ci unisce e ci rende più forti. Siamo in grado di alzarci e combattere".
    "In fin dei conti - conclude - cosa ha fatto la terra? Sappiamo tutti che la terra è viva, che si muove costantemente sotto di noi, non possiamo fare nulla, questa è chiamata NATURA.
    Cosa potevamo fare? Potevamo costruire case più sicure e magari non costruire su zone che si sono già rivelate non adatte alla costruzione di case. Potevamo evitare tutti quei morti? Io credo di sì". (ANSA).
   

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