(di Francesco Gallo)
Con Palazzina Laf, di e con Michele
Riondino che così debutta nella regia, si ride e si piange. Si
ride perché quello che accade in questo film, ambientato
all'Ilva di Taranto, è divertente anche per la naturale
simpatia dei protagonisti, si piange invece quando ci si rende
conto che quello che racconta sono fatti realmente accaduti che
riguardano la Palazzina Laf, acronimo di Laminatoio a freddo.
Ovvero un reparto dell'acciaieria dove venivano confinati e
mobbizzati gli impiegati che si opponevano al declassamento.
Impossibilitata a licenziarli, grazie all'art. 18, l'azienda li
condannava a far nulla.
"L'idea nasce dai racconti contrastanti su quello che
successe all'Ilva negli anni Novanta, dove lavoravano anche mio
padre e i miei zii, e dove c'era appunto chi diceva che alcuni
lavativi rubavano lo stipendio. Comunque per me - sottolinea
Riondino, nato a Taranto, classe 1979, da sempre impegnato nel
sociale - è un film allo stesso tempo politico, ideologico e di
parte. Ci ho messo tanto tempo per dire con questo film verità
oggettive che hanno portato poi alla prima sentenza sul mobbing
quando questa parola neppure si conosceva". Dopo l'applaudita
anteprima alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand
Public, il film - designato film della critica dal Sindacato
critici cinematografici, prodotto da Palomar, Bravo, Bim con Rai
Cinema e coprodotto con Paprika Films - arriva in sala dal 30
novembre distribuito da Bim.
Palazzina Laf ci porta alla fine degli anni Novanta,
precisamente nel 1997, quando la cosiddetta 'novazione' del
contratto, cioè la cancellazione del ruolo svolto fino a quel
momento da impiegati per approdare a una posizione minore, da
operai, portò a legittime proteste. Chi protestava finiva dritto
alla Palazzina Laf dove si era appunto pagati per non fare
nulla. Nel novembre del 1998 poi, un processo condannò gli alti
dirigenti dello stabilimento per questo comportamento, liberando
finalmente le vittime di questi soprusi. Il film racconta la
storia di Caterino (Michele Riondino) che sogna insieme alla
fidanzata di trasferirsi in città. Quando i capi dell'azienda,
nella persona del perfido dirigente interpretato da Elio
Germano, decidono di fare di lui una spia, Caterino diventa
l'ombra dei suoi colleghi e prende parte agli scioperi soltanto
per denunciarli. Trasferito anche lui alla Palazzina Laf, non
sapendo bene quale degrado vi si nasconda, scoprirà che quello
che credeva essere un paradiso è in realtà un inferno, fatto per
spingere i lavoratori a dimettersi o ad accettare il
demansionamento. A sua spese scoprirà anche che da quell'inferno
non c'è via d'uscita.
"A quell'epoca - continua Riondino, tra l'altro direttore
artistico con Diodato e Roy Paci dell'Uno Maggio Taranto - c'era
una strategia della tensione: non venivano promossi lavoratori
capaci, ma solo quelli che voleva l'azienda. C'era allora un
clima di scatenata arrampicata sociale. L'idea era che c'erano
troppi quadri e a loro servivano operai". Che faceva allora il
sindacato? "Era complice, silente, faceva finta di non vedere".
Vanessa Scalera in Palazzina Laf è una delle mobbizzate:
"Conoscevo bene quella storia, sono della provincia di Brindisi,
stretta tra l'Ilva e la centrale termoelettrica di Cerano.
Dell'Ilva si conoscono i processi, la questione ecologica, ma
della Palazzina Laf si sapeva poco. Per me è stata quasi una
chiamata alle armi". Diodato ha scritto per il film la canzone
La mia terra.
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