(di Paolo Petroni)
ANTONELLA ANEDDA, ''TUTTE LE
POESIE'' (GARZANTI, pp. 564 - 18,00 euro) - Sin dall'inizio
dell'introduzione firmata da Rocco Ronchi appare subito chiaro
cosa sia e perché appaia coinvolgente la poesia di Antonella
Anedda, di cui qui si riunisce tutta la produzione che va da
fine anni Ottanta a oggi. ''La domanda sul chi del poeta è per
lei più interessante di quella classica che chiede che cosa sia
la poesia''. Poeta si è per il fatto stesso di esistere, di
essere e ''poesia ne è il sentimento''. Per lei il linguaggio è
dantescamente ''ciò che ditta dentro''.
Così quindi è lei che ne ''Il catalogo della gioia'' dice che
''scrivere una poesia'' è innanzitutto ''respirare'',
proseguendo ''l'aria tra la notte e il giorno / e insieme a loro
tra gli alberi / quasi venisse sulla punta di ogni foglia / un
tintinnio di brina un tepore di bava / l'inizio confuso di una
frase / che strisciando mi scaccia / depone oggetti, basse
note''. Tutto in un gioco tra un biografismo contingente, un
dato di cronaca e un senso profondo che lo annulla dilatandolo a
un essere non più personale, generale in questo suo estraniarsi
e ritrovarsi nella natura.
E allora la poesia per la Anedda è sempre, così che non sono
meno poetici delle raccolte di versi gli altri suoi scritti,
compresi quelli saggistici e teorici, ibridi potremmo dire solo
apparenti per i possibili livelli di lettura per quel suo
partire da un dettaglio ininfluente e rivelarne la forza
incandescente che unisce esperienza e memoria e si risolve in
bagliore di conoscenza, di coscienza. Tenendo naturalmente conto
che l'Anedda è autrice di ''Le piante di Darwin e i topi di
Leopardi'', che quindi il suo intenso sentire si lega
all'osservazione scientifica e la ragione. Ecco quindi anche
quella labilità di confini tra poesia e prosa, che possono
convivere pure nello stesso testo, come oramai è d'uso da tempo
in una messa in crisi dei generi tradizionali.
Quindi un personalissimo immaginario poetico, dantescamente
''ciò che ditta dentro'' espresso in una forma e una lingua
materiche, solide che hanno fatto fare i nomi di Amelia Rosselli
e Franco Fortini come i due riferimenti più influenti, più
intensi nell'arco di un percorso, di un testarsi e mettersi alla
prova, da ''Residenze invernali'' (1992) e ''Notti di pace
occidentale'' a ''Il catalogo della gioia'', ''Dal balcone del
corpo'' poi ''Salva con nome'' per arrivare a ''Historiae''
(2018) in cui la ricerca inziale si ritrova più sciolta, vera,
impietosa e matura e la solitudine ha un suo disincanto. Il suo
esprimersi ha un cuore che potremmo dire ermetico, che interroga
il lettore e costringe a soffermarsi accettando l'enigma, che è
appunto sempre quello dell'essere, del particolare, della
soluzione apparentemente incomprensibile, ma che racchiude in sè
il fuoco, la sfida del mistero.
I versi che ha scelto come finali di questo percorso
esistenziale e artistico sono così, quasi in prosa: ''E' duro il
cammino verso ciò che è chiaro /l'ho capito col tempo, forse
soltanto questo è il dono / di invecchiare. Lo penso mentre
smacchio un lenzuolo / con la candeggina, che stinge soprattutto
le inziali,/ rigide di fili, nodi, punti a croce / sul nome
infittito di vocali''.
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