La Consulta ha ritenuto fondata la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, comma 12,
del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per
la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni,
nella legge 15 luglio 2011, n. 111, nella parte in cui non
prevede che gli ingegneri ed architetti non iscritti alla
cosiddetta Inarcassa, per essere contemporaneamente iscritti
presso altra gestione previdenziale obbligatoria, tenuti
all'obbligo di iscrizione alla Gestione separata costituita
presso l'Inps, sono esonerati dal pagamento, in favore dell'ente
previdenziale, delle sanzioni civili per l'omessa iscrizione con
riguardo al periodo anteriore alla sua entrata in vigore. Il
verdetto è contenuto nella sentenza n. 55 depositata oggi.
"Quanto al sistema di previdenza degli ingegneri ed
architetti, ferma la legittimità costituzionale del precetto
normativo unitario risultante dalla saldatura tra la
disposizione interpretata, di cui all'art. 2, comma 26, della
legge n. 335 del 1995, e la disposizione interpretativa, di cui
all'art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito,
che, nell'esegesi consolidatasi nella giurisprudenza di
legittimità, ha sancito l'obbligo di iscrizione alla Gestione
separata Inps per gli ingegneri ed architetti iscritti ad altre
forme di previdenza obbligatorie, che non possono iscriversi
alla Cassa di categoria (Inarcassa), alla quale versano
esclusivamente un contributo integrativo di carattere
solidaristico in quanto iscritti ad albi cui non segue la
costituzione di alcuna posizione previdenziale a loro beneficio
- spiega una nota della Consulta - la Corte è stata chiamata ad
esaminare il tema delle sanzioni civili per la mancata
iscrizione nel periodo precedente l'entrata in vigore della
suddetta norma".
"In continuità con quanto deciso nella sentenza n. 104 del
2022 per la categoria forense, la Corte - prosegue la nota della
Consulta - ha ribadito che l'affidamento dell'ingegnere o
architetto iscritto ad altra forma di previdenza obbligatoria
riposto, prima dell'entrata in vigore della disposizione di
interpretazione autentica oggetto di censura,
avrebbe dovuto essere oggetto di specifica e generalizzata
tutela ex lege per adeguare la disposizione interpretativa al
canone di ragionevolezza, deducibile dal principio di
eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.)". "Nell'esercizio della
legittima funzione di interpretazione autentica, il legislatore
era sì libero di scegliere, tra le plausibili varianti di senso
della disposizione interpretata, anche quella disattesa dalla
giurisprudenza di legittimità dell'epoca; ma avrebbe dovuto
farsi carico, al contempo, di tutelare l'affidamento che ormai
era maturato in costanza di tale giurisprudenza", conclude la
nota della Consulta.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA