"Il pianeta di Superman, che non è remotissimo...". E' il luogo dal quale pensa di provenire Marco Antonio, uno dei protagonisti di Kripton il documentario di Francesco Munzi, che attraverso 100 giorni passati nel 2022 fra due comunità psichiatriche della periferia capitolina, nel dipartimento Asl Roma 1, ci proietta nelle vite quotidiane di sei giovani pazienti affetti da disturbi mentali. Un viaggio, coinvolgente e personale, nel percorso verso un quotidiano che consenta sempre maggiori aperture agli altri, a maggiori sicurezze, al fuori, che coinvolge anche i famigliari dei pazienti e i loro medici, fra terapie, consigli e ascolto. Il film non fiction, prodotto da Cinemaundici e Rai Cinema, dopo il debutto alla Festa del Cinema di Roma e aver vinto il premio del pubblico al RIDF - Rome International Documentary Festival, arriva in sala dal 18 gennaio con Zalab, nell'anno in cui ricorre il centenario della nascita dello psichiatra e neurologo Franco Basaglia, ispiratore della Legge 180 del 1978, che portò alla chiusura dei manicomi e aveva come obiettivo, una rivoluzione nel trattamento dei pazienti psichiatrici.
"Oggi si parla tanto di malattia mentale, ma non avevo la sensazione tattile di cosa volesse dire - spiega il regista, già autore di pluripremiati film come Anime nere -. Il documentario è stato un viaggio nel quale mi ha sorpreso tutto. Ho individuato due o tre microcosmi, comunità particolarmente accoglienti e stando lì ogni giorno, pian piano sono diventati protagonisti coloro che hanno deciso di raccontarsi, anche nel rapporto con i medici e le famiglie. Un lavoro come questo si muove sul piano della condivisione e della fiducia. Tra di noi c'è stato un processo di avvicinamento umano nel quale volevo i vari protagonisti fossero liberi di mettersi in scena".
Così oltre a Marco Antonio, che vive le sue giornate scandite da percorsi fissi e la convinzione di essere ebreo, conosciamo, fra gli altri, il ribelle Dimitri, che cerca il senso della propria vita e non si adatta a schemi fissati da altri; Silvia, impegnata a combattere un disturbo alimentare supportata dal padre; Georgiana, che identifica in un rassicurante e personale concetto di oscurità l'origine di tutto e sta cercando di ricostruire la sua vita dopo aver perso la custodia della figlia; Emerson, tanto empatico quanto sensibile e intorno a loro, terapie, dialoghi, vita di comunità, confronti, scontri, confidenze, nuovi inizi. "Francesco è riuscito a dare voce a queste persone, a dare luce a una soggettività spesso saturata dal giudizio esterno - spiega Mauro Pallagrosi, dirigente medico psichiatra dell'Asl Roma 1 - Questo fa una grande giustizia a tanti livelli. I ragazzi e le famiglie hanno reagito in modo positivo, si sono sentiti restituiti la possibilità di raccontarsi. Abbiamo permesso di farlo in maniera molto spontanea, anche perché pian piano ci siamo dimenticati della cinepresa". Per Giuseppe Ducci, Direttore Dipartimento di Salute Mentale Asl Roma 1, "siamo tutti figli di Basaglia, ma la società è cambiata moltissimo, dobbiamo cercare di costruire servizi che diano risposte. Una grande capacità di accoglienza, non solo umana ma anche tecnica, deve essere la caratteristica di un servizio di sanità pubblica che garantisca dignità e vicinanza alle persone. Per farlo questo è un momento molto faticoso, visto che le risorse di cui disponiamo sono sempre di meno, di fronte a un chiaro aumento dei casi, soprattutto tra gli adolescenti, dopo la pandemia. Il problema della salute mentale è negletto in questo Paese". In platea tra il pubblico c'è anche Francesca Romana, sorella di Marco Antonio, che vediamo nel documentario nominata sua amministratrice di sostegno, nonostante il fratello non la riconosca: "In questi anni abbiamo imparato che questi stati d'animo hanno andamenti che cambiano- spiega -. In questi mesi il nostro rapporto ha avuto un'evoluzione sorprendente, ora Marco Aurelio mi riconosce e abbiamo momenti di condivisione bellissimi, lui mi ha abituato a cose sorprendenti e meravigliose".
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