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Underdog e resilienza, come cambia il politichese

Underdog e resilienza, come cambia il politichese

Il nuovo linguaggio dei leader, vicino alla gente e ai social

ROMA, 15 maggio 2024, 18:52

di Francesca Chiri

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

LA LINGUA DELLA NEOPOLITICA, MICHELE A. CORTELAZZO (Treccani; 19,00 euro, 248 pagine)

Come parlano i leader politici? Il politichese è un ricordo del passato, di quando la classe dirigente si trincerava dietro un linguaggio forbito e impenetrabile che costruiva un lessico comprensibile solo agli addetti ai lavori, o si è semplicemente adattato ai tempi che cambiano? Per il linguista Michele A.
    Cortelazzo, accademico ordinario della Crusca, quello più in voga tra i nuovi politici sarebbe una sorta di rispecchiamento nei confronti dell'elettore che darebbe vita ad una scelta linguistica che lui chiama "gentese", vale a dire la lingua della "gente". E che, forse proprio per questo, si è spesso radicalizzata attraverso i social, facendo emergere ancora un altro gergo che l'accademico ribattezza come "socialese".
    Nel libro 'La lingua della neopolitica. Come parlano i leader', pubblicato dalla Treccani, l'autore osserva e mette in fila tutta una serie di nuovi termini che da un lato evidenziano una sorta di resistenza all'abbandono del politichese, dall'altro mostrano quanto il linguaggio si sia fatto, proprio per questa permeabilità con l'eloquio comune, più accessibile.
    Verrebbe forse da dire anche più democratico.
    Sia come sia, superati gli anni '90, vediamo quali sono ora i neo, o semi-neo, logismi che attraversano la politica. Nella lunga lista di Cortelazzo troviamo il termine "esternalizzazione", la perifrasi "governo del cambiamento", l'uso un po' inflazionato del vocabolo "interlocuzione" e quello ancora più modaiolo di "resilienza". Nulla in confronto agli ossimori della prima Repubblica che produsse vere e proprie perle del frasario politico come le "convergenze parallele" di Moro, gli "equilibri più avanzati" di De Martino, il "compromesso storico" di Berlinguer, i "casti connubi" di Andreotti diventati poi il "radicalismo dolce" di Prodi. Nella transizione Cortelazzo ricorda Berlusconi "grande innovatore del linguaggio politico italiano", il cui ultimo guizzo linguistico è stato "l'operazione scoiattolo", nome in codice per la cattura, uno per uno, dei grandi elettori che gli mancano per il "grande salto verso il Colle" nel gennaio 2022. Ora c'è Giorgia Meloni che ha invece rispolverato un lessico molto valoriale ("coraggio", "fierezza", "orgoglio") e rilanciato parole come "bonifica" e l'anglismo più famoso, "underdog". Il Partito democratico, scrive il linguista, dopo la 'verve' di Luigi Bersani, ha vissuto un deficit di specificità lessicale con Enrico Letta e con Elly Schlein troviamo però la "vittimizzazione secondaria". Dal Movimento 5 stelle resta inarrivabile il "vaffa" di Beppe Grillo, a cui è poi subentrata la "pacchia" di Matteo Salvini e della sua Lega, affetta, afferma Cortelazzo, da "bulimia comunicativa", con parole come "europirla", "sbruffoncella", "ruspa", "giornaloni", "intellettualoni", "professoroni", "rosiconi" o "zecche".
    Termini in alcuni casi ereditati da Matteo Renzi, mentre si deve a Carlo Calenda "bipopulismo".
    Mentre imperversano i "campi", con quello largo come il più famoso. Con un rischio, sostiene l'autore, "che al diminuire dei partiti faccia riscontro il nomadismo politico, un 'menevadismo', lo scissionismo di sinistra che ricorda altri -ismi del passato come 'doppiopesismo', 'doppiogiochismo', 'cerchiobottismo'. per finire con il 'celodurismo', di 'Umbertobossiana' memoria.
   

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