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Gabart Day After Una lezione di mare

Intorno alla Route du Rhum, gli uomini e le imprese

Responsabilità editoriale Saily.it

Barba bionda sul mento, occhi blu impregnati di stanchezza, un enorme livido sull’avambraccio sinistro e un sorriso che continua ad illuminare un volto sul quale non si legge nessun rancore. Il giorno dopo l’arrivo a Pointe à Pitre, François Gabart torna su alcuni aspetti importanti della sua regata: la tecnica della “catapulta" per lascare la scotta randa, le straorze a ripetizione, la sua idea della performance, della competizione e dell’ingiustizia... Questo si che è ragionare

 

I social, i soliti social, dannati e benedetti. Amplificano e distorcono discussioni e riflessioni, premiano più spesso le chiacchiere vuote e fini a se stesse (cioè alla chiacchiera, per l'appunto), e ancor più le polemiche, meglio se virulente, ineducate, pretestuose e prive di competenze. Si è parlato di avarie, ritiri, ripartenze, competizione, a proposito di questa Route du Rhum lunga come un romanzo. Da supermen cone Le Cleac'h che abbandonano l'astronave in mezzo all'oceano, a italiani con Mura e Fantini che si fermano, chi definitivamente chi per ripartire, per rispetto del mare, ciascuno ha il suo di rispetto, ciascuno ha le sue categorie.

Sentite quelle di Francis Gabart, per età e palmares forse il più grande velista oceanico in circolazione, battuto dal grande vecchio Francis Joyon e dalle sfortune. Questo si che è ragionare. Dopo sette giorni da soli in oceano forse viene meglio che dopi due ore di tastiera.

 

“Ci ho dato dentro, non c’era altra scelta. Volevo vincere e fare il meglio possibile con queste barche che sono impegnative. Però finalmente, l’impegno è stato di tutta altra natura: ho dovuto trovare altri punti di riferimento sulla mia barca rotta, adattarmi. L’adattamento fa parte del nostro lavoro, del nostro mestiere di marinai e le nostre capacità ad arrivarci fanno spesso la differenza. 

"Passi il tuo tempo a girare manovelle e dopo un po’ ti dici che se voi reggere sette giorni, dovrai rassegnarti a girarle più lentamente. Perché fa male, non dormi spesso, non dormi molto. E quando non dormi molto, dopo un po’ entri in questa zona arancione in cui perdi la lucidità. Bisogna andare a cercare lontano dentro di sé questa performance e trovare un equilibrio. Ci mettiamo in stati impossibili per essere performanti, però stranamente non è mai veramente la stessa cosa o per le stesse ragioni, perché in barca vela raramente le cose accadono come le avevi previsti. 

In questa regata, quello che ho avuto da gestire è una barca rotta sin da Ouessant. Durante le sei prime ore, ero a manetta. Poi ci siamo fatti bastonare per bene. Il mio J3 si è rotto e da quel momento (perdita del foil di destra e del timone a sinistra) ho fatto soltanto manutenzione. Ho dovuto riadattare la mia corsa di continuo e trovare nuovi punti di riferimento a bordo. Mure a dritta, avevo il foil ma non avevo il timone sotto lo scafo. Alle portanti, appena la barca si alzava un po’ ed accelerava, se non era ben equilibrata partiva in straorza. E questo è una cosa che non avevo mai vissuto in trimarano.

"Avevo sempre, dico sempre, la scotta della randa in mano, bisognava essere superveloce per lascare. Guardavo di continuo i numeri del pilota per avere gli angoli di bara perché nel momento in cui la palla del timone staccava dovevo subito lascare in grande. Capitava quasi una volta ogni ora. Ho sviluppato una nuova tecnica: facevo pochi colli intorno al winch e riportavo la scotta randa sullo strozzatore nella discesa, poi facevo diversi giri con la scotta intorno alla mia mano, in modo da farmi trascinare in pozzetto con la scotta in mano quando la barca partiva in starorza o nel caso mi addormentassi. Mi tirava fuori dal letto.

"Mure a sinistra, era il contrario: avevo il timone ma non il foil. Così lo scafo sottovento andava sott'acqua, ingavonava, la barca saturava in velocità non riuscivo ad accelerare. Dovevo forzare, navigare sbandato e spingere lo scafo sotto l’acqua, altro che volare! Insomma, è stato fatto nella sofferenza tutto questo e, finalmente, la mia frustrazione in questa regata è di non aver potuto esprimere il potenziale della barca. Da quello che ho visto nelle prime ore di navigazione, le performance sono incredibili.

"E' terribile da dirsi perché tutti abbiamo lavorato molto per questa nuova versione, ma penso che avrei avuto più chance di vincere con la barca in configurazioni ''giro del mondo 2017 invece di questa versione 2.0. Le avarie hanno fatto cadere il potenziale della barca in modo spettacolare. Perché onestamente, se non avessi avuto problemi sarei stato lontano davanti.

"Siamo qui per fare performance e quando cerchi la performance, dove poi fare un guadagno, se questo guadagno non ti costa nulla lo prendi qualunque sia la sua natura. Nel caso specifico, non parlare dei nostri problemi tecnici, non so se cambia realmente qualcosa. Fa parte del mentale. Rivelare l'esistenza di questi problemi dà sempre speranza al concorrente dietro. Potrebbe cambiare modalità di navigare, attaccare invece di semplicemente gestire la sua corsa.

"La competizione è ingiusta? Sì. La vita è ingiusta? Sì. Però non possiamo arrabbiarci per questo, fa parte del gioco! Si può rimanere in questo tipo di frustrazione però a un certo momento, bisogna anche accettare il fatto che è così. Ed è questo che fa la forza e il valore della competizione: questa cosa che non controlli e che ci supera tutti. Questa parte di fortuna è terribile però è così.

"L’ho imparato da quando a sette anni andavo sull'Optimist. Puoi anche gestire tutto per bene senza commettere onori, ci sono momenti in cui cambierà tutto. Provo anche a prendere distanza rispetto al principio della competizione. Sono cresciuto con la competizione mi sono costruito con questo con lo sport ad alto livello. Ne vedo alcuni limiti ora. Deve nutrire la tua vita ma non te la deve mangiare.

"La vela offshore è uno sport molto bello che deve nutrirsi di competizione, però alla fine è soltanto un risultato. Sono pronto a dare molto per questo e allo stesso tempo, a volte mi dico ma che cosa ti rimane alla fine? La mia fierezza in fondo è di essere comunque arrivato in Guadalupa e di aver visto la Guadalupa per primo con una barca danneggiata. Obiettivamente ho veramente sofferto e gli ultimi giorni quando Francis tornava. Mi sono battuto, ho dato tutto ed è quello che ricordo. Poi, mi dispiace se sembra pretenzioso da dire, però non ho bisogno di dimostrare a me stesso o agli altri che sono capace di vincere una regata. Mi sento bene così come sono. 

"A proposito di ingiustizia, avremmo potuto dire prima della partenza: è ingiusto, tutte le barche non vanno alla stessa velocità alcune saranno più veloci delle altre. Però ognuna aveva le sue carte da giocare. Francis ha fatto una super regata, ha saputo usare le sue carte, la sua barca era perfettamente collaudata e bisognava comunque spingerla come ha fatto questa barca."

(Traduzione di Christophe Julliand) 

Responsabilità editoriale di Saily.it