(di Danilo Nardoni)
Uno dei migliori David Byrne di
sempre, ieri sera a Umbria jazz. Per un concerto
indimenticabile. Poteva essere utopico riuscire ad assistere ad
uno spettacolo perfetto. Il mondo musicale e artistico di Byrne
prende invece le sembianze di una "Utopia" ("American Utopia" è
il titolo del suo ultimo lavoro), realizzabile.
Fondatore dei Talking Heads nel 1974 (dal 1981 poi ha avviato
una intensa carriera solista), creatore della Luaka Bop grazie
alla sua passione per la world music, produttore discografico,
fotografo, regista, autore, musicista (iscritto nel 2002 nella
Rock & roll Hall of Fame) ed infine artista, David Byrne è un
talento multiforme ed in continua evoluzione. Continua infatti a
sperimentare, rischiare, evolversi. Continua a fare musica con
la testa.
Ed è proprio un modello di cervello umano che il musicista
tiene in mano ad inizio serata quando appare sul palco seduto
davanti ad un tavolino. Poi attacca con "Here" e sembra venire
da un'altra dimensione spazio-temporale ma con i piedi ben
piantati a terra. E proprio a piedi nudi sono tutti gli altri
undici sul palco con lui: strumenti a tracolla (tamburi e
percussioni a farla da padroni), tra banda di paese, street band
americana e gruppo di samba brasiliano, per dare spazio anche a
coreografie.
Per Umbria Jazz va in scena una perfezione di spettacolo,
fisico (quasi come "Stop making sense", tour famosissimo dei
Talking Heads) e teatrale, uno show completo: musica prima di
tutto ma poi coreografia, idee e parole. Il palco è un set
completamente vuoto, grigio come gli abiti dei protagonisti,
delimitato da fili a cascata come una sorta di tenda.
"Once in a lifetime" spezza lo show in due, diviso così in
una prima e un dopo, passando da un inizio in cui sembrava di
assistere a teatro ad uno spettacolo di Bob Wilson, ad una
seconda parte con sul palco una rockstar degli anni Tremila. È
Byrne a dare l'ok alla security ("let them dance"): il pubblico
si alza dalle sedie e corre sotto palco.
Oltre che i brani dell'ultimo disco "American Utopia", Byrne
propone per la gioia dei fan molti pezzi del repertorio delle
"teste parlanti", band sperimentale e d'avanguardia che ha
rappresentato una delle colonne portanti della new wave
americana. Dopo "Once in a lifetime" ci sono infatti anche "I
Zimbra", "Slippery people", "This must be the place (Naive
Melody)", "Blind", "Burning down the house" con cui chiude lo
spettacolo prima di ripresentarsi per i bis "Dancing Together" e
"The Great Curve". Il finale è con una cover: "Hell you
talmbout", inno di Janelle Monàe del 2015 che elenca nel testo i
nomi di giovani afroamericani vittime di razzismo e di scontri
con le forze dell'ordine americane.
Multiculturalismo e impegno politico entrano nello show, come
quando prima di "Everybody's coming to my house" l'americano, di
origini scozzesi, invita gli americani a registrarsi per votare
e a tutti di esercitare questo diritto sempre "anche nelle
elezioni più piccole". Gli altri brani: "Lazy", "I should watch
tv", "Dog's mind", "Doing the right thing", "Toe Jam", "Born
under punches (The heat goes on)", "I dance like this",
"Bullet", "Every day is a miracle", "Like humans do". Tutto però
risulta imprevedibile anche per canzoni e suoni che si conoscono
alla perfezione.
La giornata di Byrne era iniziata a Perugia con una
passeggiata in bicicletta per le vie della città (dove era già
stato in passato per i due precedenti concerti nel 1992 e nel
1998), non facilissime da percorrere con i loro sali-scendi.
A 65 anni allora cosa ci si può aspettare da un "giovane"
come lui? Solo una cosa, ovvero un futuro radioso, per il bene
dell'arte e per il bene della storia della musica contemporanea.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA