(di Danilo Nardoni)
Quando Benjamin Clementine intona,
quasi sul finale, una versione di "Caruso" di Lucio Dalla,
invitando tutti a cantare con lui, il pubblico è raccolto sotto
ai suoi piedi. In senso figurato, ma anche fisicamente, visto
che solo dopo i primi tre brani il musicista e cantante
londinese chiama tutti a raccolta sotto il palco di Umbria Jazz.
Anche quelli della gradinata raggiungono la platea dell'Arena
per partecipare ancora più fisicamente ad un live intenso e
molto teatrale, per una delle notti migliori di questa 45/a
edizione del festival e sicuramente tra quelle più belle degli
ultimi anni.
Colpisce e sorprende infatti anche l'altra giovane voce,
quella di Somi, che in apertura di serata ha impreziosito il
festival con colori, ritmo e note mettendo in evidenza una sorta
di "new african jazz" delicato e sostenuto allo stesso tempo. Da
ricordare, insomma, il doppio concerto di ieri sera andato in
scena sul main stage, tra quelli finora con minori presenze ma
dalla più alta intensità ed emotività.
L'eclettico Clementine, pianista e multistrumentista,
songwriter e poeta ed uno dei protagonisti di primo piano della
nuova scena musicale internazionale, conferma tutte le sue
qualità con voce tenorile di grande espressività e stile unico a
contraddistinguere la sua musica, un mix di sonorità "black"
naturalmente, ma anche con molti richiami al glam inglese
"bianco". Artista raro, imprevedibile. Certamente uno dei più
originali e carismatici della sua generazione. Canta quello che
dice, dice quello che sente e sente quello che suona. Guarda la
sostanza e non ama gli effetti speciali.
La teatralità, però, quella sì. Un "animale" si è definito
lui stesso in passato. Da palco si potrebbe aggiungere. Quando
Clementine, trentenne, ha danzato circondato dal fumo della
smoke machine intorno al gruppo di manichini nudi piazzati sul
palco (tutti gli strumenti poi, oltre al suo piano anche il
basso di Axel Ekerman e la batteria di Alexis Bossard sono
rivolti verso i fantocci di plastica) pareva assistere ad una
specie di rituale.
La capacità di coinvolgere il pubblico arriva sicuramente dal
suo passato a Parigi come artista di strada. In piedi e al
massimo appoggiato ad uno sgabello, suona contemporaneamente
piano e tastiera, quest'ultima posizionata sopra lo stesso
strumento, e non si dichiara poi "a jazz player", scherzando al
pianoforte su cui accenna note a raffica, ma amante delle
"Italian songs".
Sul palco, però, improvvisa e molto con uno show quindi
davvero unico. Li mette quasi tutti in fila però i suoi brani
più interessanti e suggestivi come "One awkward fish",
"Condolence", "I won't complain" e "Cornerstone".
A sorprendere il pubblico è anche l'altra voce, per la prima
volta pure questa a Umbria Jazz. Somi, originaria dell'Illinois
ma da tempo stabilitasi ad Harlem, attinge da pezzi che arrivano
da "Petite Afrique", l'ultimo album pubblicato nel 2017, e da
"The Lagos music salon" del 2014. La voce dell'americana e il
sound della sua band sinergicamente offrono un innesto tra jazz
e sonorità africane non comune.
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