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Sanzione Antitrust a WhatsApp, 'valutiamo ricorso'

Da 50mila euro per omessi obblighi informativi utenti

L'Antitrust ha comminato una sanzione da 50.000 euro a WhatsApp, per non aver dato esecuzione all'ordine di pubblicazione del provvedimento con il quale è stata accertata la vessatorietà di alcune clausole dei Termini di Utilizzo dell'applicazione WhatsApp Messenger. "Stiamo esaminando la decisione e stiamo valutando la possibilità di effettuare un ricorso": commenta un portavoce della società di proprietà di Facebook. 

La nota dell'Autorità garante precisa che WhatsApp, violando gli obblighi informativi nei riguardi dei consumatori, ha consapevolmente omesso quanto disposto nel provvedimento, ossia la pubblicazione di tale documento nella homepage del proprio sito web e la contestuale notifica in app, da inviare a tutti gli utenti WhatsApp italiani, contenente il link alla pubblicazione medesima.

Tra le clausole, a suo tempo qualificate come vessatorie, la facoltà di modifiche unilaterali del contratto da parte della società, il diritto di recesso stabilito unicamente a vantaggio del professionista. "Siamo alle comiche! Una multa a dir poco ridicola" ha affermato Massimiliano Dona, presidente dell'Unione Nazionale Consumatori. 

Le altre clausole di WhatsApp considerate vessatorie sono le esclusioni e le limitazioni di responsabilità a suo favore, le interruzioni ingiustificate del servizio, la scelta del foro competente sulle controversie (ad oggi esclusivamente individuato presso tribunali americani). L'Autorità precisa che i 50.000 che WhatsApp dovrà pagare sono il massimo edittale di sanzione attualmente stabilito dalla normativa per l'inottemperanza ai provvedimenti di accertamento della vessatorietà.

"Il fatto che questa sia la sanzione massima che l'Antitrust può erogare in questi casi, dimostra che urge un intervento del legislatore per innalzare l'importo delle multe comminabili dalle Authority" ha aggiunto Dona, precisando che "fino a che non si stabilisce che le multe devono essere almeno superiori all'illecito guadagno ottenuto con pratiche illegittime non andremo da nessuna parte".

In particolare, l'Autorità ha tenuto conto non solo della rilevanza del professionista e del suo consapevole rifiuto a pubblicare l'estratto della decisione dell'Autorità, ma anche della circostanza che la pubblicazione è l'unico strumento che assiste l'accertamento della vessatorietà nella disciplina vigente, la quale, allo stato, non prevede l'imposizione di sanzioni amministrative pecuniarie al termine del procedimento amministrativo di accertamento della vessatorietà delle clausole contrattuali.

 

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