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Covid: studio Usa, Trump motore della disinformazione online

Ricerca della Cornell University valuta 38 milioni di articoli

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, positivo al coronavirus insieme alla First Lady Melania, e' stato probabilmente il principale motore di disinformazione sul virus. In particolare, le menzioni del presidente Trump costituivano quasi il 38% delle "conversazioni di disinformazione" online complessive sul coronavirus. È quanto emerge da uno studio della Cornell University. Un team della Cornell Alliance for Science ha valutato 38 milioni di articoli pubblicati dai media tradizionali in lingua inglese in tutto il mondo tra il primo gennaio e il 26 maggio di quest'anno.Il database ha utilizzato la copertura aggregata di paesi come Stati Uniti, Gran Bretagna, India, Irlanda, Australia, Nuova Zelanda e altre nazioni africane e asiatiche.

Sono stati identificati 522.472 articoli di notizie che hanno riprodotto o amplificato la disinformazione relativa alla pandemia di coronavirus, o ciò che l'Organizzazione mondiale della sanità ha chiamato "l'infodemia". Questi sono stati classificati in 11 sotto-argomenti principali, che vanno dalle teorie del complotto agli attacchi all'esperto di punta Usa Anthony Fauci, all'idea che il virus sia un'arma biologica scatenata dalla Cina.

L'argomento di gran lunga più popolare è stato quello che gli autori dello studio hanno definito "cure miracolose", che è apparso in 295.351 articoli, più degli altri 10 argomenti messi insieme. I ricercatori hanno scoperto che i commenti del presidente Trump hanno portato a picchi importanti nell'argomento "cure miracolose", guidato dal suo briefing con la stampa del 24 aprile in cui ha suggerito la possibilità di iniettare dosi di disinfettante nei pazienti per curare il coronavirus. Picchi simili sono stati osservati quando ha promosso trattamenti non provati come l'idrossiclorochina. Nel mese di agosto Trump era stato censurato da Facebook e Twitter per disinformazione sulla malattia, relativamente a un post in cui affermava che i bimbi sono "quasi immuni" al Covid-19.
 
   

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