''Il merito di tutto è dei
giocatori. Io mi sento solo un loro rappresentante. Non mi sento
speciale. In quella finale non ho mai pensato a me. Ho sempre
pensato a cosa significava quella coppa per Moratti, Zanetti, i
giocatori. Ho pensato sempre in modo altruista, mi sentivo
speciale per quello. Sono riuscito ad essere più umile. Più
attento agli altri. Questi ragazzi hanno avuto questo potere su
di me'': lo racconta José Mourinho, a Sky Sport, ripercorrendo
l'impresa del Triplete a dieci anni dal trionfo in Champions
League. ''Zanetti? Anche in quarantena e senza parrucchiere -
sorride Mourinho guardando il video del vicepresidente
dell'Inter - ha sempre i capelli top. Era il capitano dei
capitani. Lui, Cordoba, Materazzi, Toldo, erano giocatori di
cuore, di cuore nerazzurro. La trasmissione dei valori
interisti, la trasmissione di un sogno. Grazie anche a Branca e
Oriali, hanno fatto un grande lavoro e mi hanno aiutato nelle
scelte. Ma l'uomo che guidava tutti al sogno era Moratti ed è
stato fondamentale anche per questa ambizione''. Poi José
racconta uno dei momenti decisivi, quello della clamorosa
rimonta di Kiev: ''Ho visto gente triste e io odio la gente
triste quando c'è tanto da giocare. Ho pianto tante volte dopo
le grandi vittorie, ma ho pianto solo una volta dopo una
sconfitta. All'intervallo sono riuscito a entrare nel cuore dei
giocatori''. Poi l'eliminazione del Barcellona: ''Prima della
partita mio figlio - che aveva dieci anni- mi disse 'non mi
ricordo la tua prima finale, ora voglio questa finale. Voglio
ricordarmela'. Prima della partita racconto alla squadra di mio
figlio e dico ai giocatori di pensare a loro. Siamo entrati in
campo con la consapevolezza che non lo facevamo solo per noi''.
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