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Benvenuti-Griffith, quella notte che l'Italia salì sul ring

50 anni fa il leggendario match per il titolo mondiale dei medi

Lui entra, in palestra si fa silenzio improvviso e scatta l'applauso, affettuoso, prolungato, mentre l'allenatore chiosa: 'ragazzi, il maestro è venuto a trovarci'. Il maestro è Nino Benvenuti, oro olimpico a Roma 1960, ex campione del mondo nei pesi medi e superwelter. La palestra è una di quelle storiche della capitale, l'Audace, al Colosseo, fra le fondatrici della Roma calcio. Uno degli ultimi luoghi dove si fa pugilato a Roma, 15 giovani e due ragazze si allenano, alle pareti foto d'epoca celebrano un secolo di pugni. Benvenuti si commuove per l'accoglienza, seguono strette di mano, abbracci e foto ricordo.

Un tuffo nel passato. Per il vecchio campione che tra pochi giorni compirà 79 anni, è una scena che si ripete ogni giorno, ovunque vada. Tutti lo riconoscono, Nino Nino, e via foto e saluti, e ricordi di quella grande notte del pugilato italiano, 50 anni fa, quando il 29enne triestino entrò nella leggenda dello sport. Era il 17 aprile 1967 e al Madison Square Garden di New York, 15mila spettatori entusiasti, fra i quali alcune centinaia giunti dall'Italia, fecero da cornice al match fra Benvenuti e il campione del mondo in carica dei pesi medi, l'americano Emile Griffith. Una sfida che non rimase confinata nello sport ma entrò nei libri di storia.

A New York erano le 22 di una sera fredda e piovosa, in Italia le 4 di notte. C'era grande attesa per il match, ma la Rai non fece la diretta per ordine del governo, che non voleva turbare il sonno degli italiani, che a milioni si svegliarono lo stesso e seguirono l'evento alla radio, la voce era di Paolo Valenti. Il match fu un saliscendi di emozioni. Al 2/o round Griffith va al tappeto, al 4/o tocca a Benvenuti. I due se le danno senza ritegno: elegante e tecnica la boxe dell' azzurro, potente e aggressiva quella del rivale. Si arriva alla 12ma ripresa, Griffith è stanco, Benvenuti si scatena, il rivale barcolla, gli ultimi round sono un delirio di pugni, una gara di resistenza, ma è fatta.

L'Italia vede l'alba col titolo di campione del mondo. E molti padri racconteranno ai figli di quella notte che rimasero svegli per l'incontro che consacrò il pugile triestino alla storia della boxe. Da quel giorno sono trascorsi 50 anni, dal ritiro di Benvenuti dal pugilato 46, ma la popolarità del campione non è calata. E se Griffith è andato incontro a una vecchiaia di povertà e solitudine, Benvenuti è rimasto il ragazzo di allora, il figlio che ogni mamma vorrebbe: bello, educato, vincente. Quel match (il primo di una trilogia epica) fu l'inizio della fine per il terribile Griffith, il picchiatore gentile, amante dei cappelli, ballerino esperto, ma anche cantante e disegnatore di moda. Un campione che non ha mai fatto breccia fino in fondo nel razzismo di molti americani, per il suo essere nero forse, e per le voci sulla sua omosessualità.

Un uomo mite, ma con i guantoni capace di cose pazzesche: Benny Paret era un pugile spaccone, che umiliò Griffith in pubblico, urlandogli maricon, il termine spagnolo per indicare in maniera spregiativa i gay. Quando i due si ritrovarono sul ring, il pugile gentile diventò una belva e scaricò sul rivale pugni come bastonate, Paret finì in ospedale e morì pochi giorni dopo. Il Madison era la tana di quel leone, Benvenuti l'aveva espugnata. Il ritorno in patria fu da film, folle accolsero il campione a Roma, Milano, Bologna, Trieste. Sembrava l'ubriacatura di un momento, nessuno poteva immaginare che Benvenuti invece era entrato nell'immaginario collettivo degli italiani per non uscirne più. Era diventato parte della storia d'Italia.

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