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Primo soccorso a scuola: solo 1 studente su 3 sa come intervenire

Primo soccorso a scuola: solo 1 studente su 3 sa come intervenire

Ma tutti vorrebbero saperne di più

14 dicembre 2017, 18:51

Redazione ANSA

ANSACheck

Rendiamo obbligatorio un corso di primo soccorso a scuola, non limitandoci alla teoria ma insegnando le tecniche che un giorno potrebbero tornare utili per salvare una vita. È una richiesta che gli studenti italiani fanno a gran voce. In particolare, 9 ragazzi su 10 vorrebbero capire come comportarsi in caso di arresto cardiaco se accadesse ad un proprio amico. Perché, nonostante le campagne d’informazione e sensibilizzazione sul tema - come Viva! La settimana per la rianimazione cardiopolmonare - è ancora scarsa la cultura sanitaria in questo campo, soprattutto tra i più giovani. Skuola.net lo ha capito effettuando una ricerca - in collaborazione con IRC (Italian Resuscitation Council) – che ha coinvolto circa 10mila ragazzi tra gli 11 e i 25 anni. Poche domande per verificarlo.
Più che impreparati, gli studenti sono spaventati dall’idea di dover intervenire in aiuto del proprio compagno di banco in caso di arresto cardiaco. Solo 1 su 3 procederebbe nel modo giusto: per prima cosa iniziando a chiamarlo e a scuoterlo leggermente; dopodiché, se non dovesse riprendersi, piegandogli la testa all’indietro, alzandogli il mento e controllando se il suo torace si alza e si abbassa per valutare la presenza della respirazione. E gli altri? Confusione totale: il 9% confessa che entrerebbe subito nel panico, il 18% prenderebbe a schiaffi l’amico per risvegliarlo, il 38% nel dubbio chiamerebbe immediatamente i soccorsi senza prima verificare se il problema sia davvero grave. Anche perché, per capire se il soggetto respira, il 31% gli metterebbe le dita sotto il naso e il 38% gli appoggerebbe l’orecchio sul torace per ascoltare se c’è ancora battito cardiaco (sbagliando in entrambi i casi).

Partendo da queste premesse è quasi scontato che, se fosse davvero in corso un arresto cardiaco, la ‘reazione’ del soccorritore non sarebbe proprio il massimo. È vero che la stragrande maggioranza – 77% - chiamerebbe (ora sì che è corretto) i soccorsi via telefono senza allontanarsi dalle persona a terra. E che il 13% chiederebbe aiuto ai genitori o a un altro adulto (in questo caso, però, perdendo del tempo prezioso). Ma 1 su 10 si bloccherebbe, non sapendo dove mettersi le mani. Una volta in collegamento telefonico con l’operatore, con una voce guida che li aiuta a muoversi, le cose non migliorano: solo il 29% dei ragazzi intervistati afferma di avere elementi a sufficienza per eseguire le indicazioni; il 16% ammette che non saprebbe da dove iniziare; la maggior parte però – il 55% - cercherebbe comunque di darsi da fare.
Anche se è difficile che l’intervento vada a buon fine. Visto che solo 6 studenti su 10 sanno che la posizione migliore per praticare un massaggio cardiaco è con il corpo adagiato a pancia in su (il 31% lo lascerebbe nella posizione in cui si trova, il 3% lo metterebbe addirittura a faccia in giù, il 6% come capita). E che appena 2 ragazzi su 10 sanno che il numero di compressioni da effettuare sul torace deve essere tra le 100 e le 120 al minuto (il 56% ne ritiene, erroneamente, sufficienti tra le 30 e le 50; il 14% tra le 80 e 100; l’8% esagera con 120-140).

“Insegnare la rianimazione cardiopolmonare nella scuola italiana è un segno di civiltà per un paese che vuole restare al passo con le linee guida internazionali di settore – afferma Andrea Scapigliati, presidente di Italian Resuscitation Council - La campagna 'Kids save lives che promuoviamo in Italia in collaborazione con i partner europei di European Resuscitation Council prevede l’introduzione di 2 ore all’anno di insegnamento della rianimazione cardiopolmonare a partire dall’età di 12 anni in tutte le scuole del mondo. Siamo orgogliosi di portare in Italia questa strategia internazionale”.
Per parlare con i soccorsi, però, prima di tutto bisogna sapere qual è il numero da fare. In passato c’era il 118, conosciuto da tutti; negli ultimi tempi è entrato in funzione in alcune regioni italiane il 112 (numero unico d’emergenza). Un cambiamento che ha spiazzato tantissimi ragazzi: appena il 54% ha dimostrato di esserne al corrente, mentre il 14% chiamerebbe il 113 (a cui però risponde la Polizia) e il 12% digiterebbe il 115 (i Vigili del Fuoco); sempre meglio di quel 20% che telefonerebbe al 911 (peccato che non siamo in America).


Per fortuna una via d’uscita c’è: è il defibrillatore. Perché gli studenti, se hanno al loro fianco uno strumento che ti dice come e quando agire, sembrano più tranquilli. Aumenta il numero di quelli che sostengono di sapere usare un defibrillatore per la rianimazione cardiopolmonare: sono più di un quarto (il 27%). Unico dato che, rispetto all’anno precedente, risulta in crescita. Sarà perché sono aumentati anche i defibrillatori nelle scuole? Possibile: ad oggi quasi 1 istituto su 3 lo possiede (31%); l’anno scorso erano il 26%.


Su tutti gli altri aspetti, però, i ragazzi navigano sempre più al buio. La conoscenza di tecniche di rianimazione cardiopolmonare, pratiche di soccorso, comportamenti corretti non decolla. Anzi, peggiora. La scuola potrebbe fare sicuramente di più: solo un terzo, infatti, ha fatto svolgere un corso – teorico e pratico - sul tema ai propri alunni (saranno le stesse che hanno in dotazione un defibrillatore?). Ma quasi tutti gli altri studenti ne sentono il bisogno: il 92% vorrebbe saperne di più. Sarebbe un primo passo per mettere il maggior numero di persone nelle condizioni di intervenire tempestivamente e nella maniera giusta. Il MIUR ha recentemente presentato le linee guida per l’introduzione nelle scuole italiane primarie e secondarie l’insegnamento del primo soccorso. IRC è estremamente orgogliosa di poter contribuire con la sua rete formativa ad aumentare la cultura del soccorso e della solidarietà nella scuola italiana. Non è poi così difficile. Salvare un vita è un gioco da ragazzi!

 

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