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Quirinale: 2006, ci prova D'Alema ma la spunta Napolitano

Eletto senza franchi tiratori. Cav fa correre i suoi in cabina

di Marco Dell'Omo

Con ventiquattromila voti di scarto e una maggioranza di un pugno di senatori si può anche pensare di governare per qualche anno, ma come si fa a eleggere un presidente della Repubblica?. E' questo il pensiero che ha in testa il segretario dei Ds Piero Fassino il giorno dopo che la coalizione di centrosinistra ha vinto di strettissima misura le elezioni del 10 aprile 2006. L'Unione di Romano Prodi si è imposta per poche migliaia di voti alla Camera mentre al Senato, pur avendo ottenuto circa cinquecentomila voti in meno della Casa delle libertà, grazie al gioco dei premi di maggioranza regionali e al voto nei collegi per gli italiani all'estero, è riuscita a strappare una vittoria millimetrica. Romano Prodi, che guida la coalizione vittoriosa raccolta sotto la bandiera dell'Unione (alleanza nella quale sono stati imbarcati tutti, da Mastella ai trozkisti eletti nelle liste di Bertinotti) si rende subito conto che Silvio Berlusconi non ha alcuna intenzione di mettersi buono da una parte ma farà di tutto per soffocare il governo, magari anche prima che nasca.

In questo clima di guerra incombente (che ha il primo capitolo nelle accuse di brogli elettorali e il secondo nel duello per la presidenza del Senato, dove per poco il centrodestra non riesce a far eleggere Giulio Andreotti invece del candidato del centrosinistra Franco Marini) l'appuntamento con la scelta del successore di Ciampi è una bella gatta da pelare per i democratici di sinistra. Dopo una rapida valutazione, a Fassino e compagni sembra che ci siano solo due carte da giocare: o convincere Ciampi a farsi rieleggere, o puntare su Massimo D'Alema, che dai tempi della bicamerale ha ottimi rapporti anche con lo schieramento guidato da Berlusconi. La prima ipotesi dura lo spazio di un mattino. Ciampi, che riceve pressioni anche dal centrodestra affinché si ricandidi, fa subito sapere che non ha la minima voglia di un bis. Nel suo diario liquida la faccenda in modo lapidario: "Letta e Berlusconi perorano disponibilità mia rielezione. No". Il 3 dicembre fa sapere pubblicamente, con un comunicato ufficiale, che non si farà rieleggere, anche perché è contrario in linea di principio all'idea del doppio mandato. Scatta allora l'operazione D'Alema. Una telefonata dell'ex premier con Gianni Letta getta le basi di un possibile accordo: i due hanno una antica consuetudine, fin da quando Letta fece incontrare D'Alema e Berlusconi a casa sua all'epoca della bicamerale. La candidatura di D'Alema al Quirinale trova entusiasta il direttore del Foglio Giuliano Ferrara, che batte la grancassa in favore dell'accordo. Segnali importanti dalla corte di Berlusconi arrivano attraverso Fedele Confalonieri e Dell'Utri, che in un'intervista al Corriere fa capire che la Casa delle libertà, con D'Alema candidato, è disposta a mettere tra parentesi le accuse sui presunti brogli del centrosinistra alle elezioni per votare insieme per mandare al Quirinale il politico di sinistra del quale Berlusconi si fida di più.

Ma il 5 maggio, a tre giorni dalla convocazione del Parlamento, arriva la doccia gelata: Berlusconi non è riuscito a convincere il perplesso Gianfranco Fini a mandare in porto l'operazione. E senza i voti di An il Cavaliere non vuole andare avanti. I Ds devo decidere in fretta quale altra carta giocare. Nei giorni precedenti si sono fatti i nomi di Giuliano Amato e Emma Bonino, ma Fassino e D'Alema, d'accordo con Prodi, decidono di puntare sull'ottantunenne Giorgio Napolitano, da qualche anno senatore a vita per volere di Ciampi e padre nobile dei democratici di sinistra: nel Pci è stato il capo dei miglioristi, la corrente di destra che voleva "decomunistizzare" il partito ben prima della caduta del muro di Berlino. Forza Italia non sarà della partita.

Napolitano sarà stato anche ben disposto verso il Psi Craxi, ma Berlusconi non vuole farsi coinvolgere, e decide di non mettere in gioco il suo pacchetto di voti: scommette sul fatto che i franchi tiratori bocceranno Napolitano nel segreto dell'urna, costringendo l'Unione di Prodi a venire a più miti consigli. Nella prima votazione, dove servono i due terzi dei voti, l'Unione non fa ancora scendere in campo Napolitano: tanto non sarebbe comunque eletto (il centrosinistra ha molti meno voti del quorum dei due terzi) e così si evita di dare qualche tentazione ai franchi tiratori per le loro manovre. Berlusconi fa votare per Gianni Letta, che prende 369 voti, in 27 votano per D'Alema. Nella seconda e nella terza votazioni anche il centrodestra vota scheda bianca, D'Alema incrementa i voti e qualche burlone si diverte a scrive sulla scheda il nome della moglie Linda Giuva. Si arriva così al 10 maggio: Napolitano viene eletto al primo colpo con 543 voti.

Per lui votano tutti i grandi elettori dell'Unione, senza nemmeno un franco tiratore (è la prima volta che accade) e in più arrivano due voti extra dai "dissidenti" dell'Udc Marco Follini e Bruno Tabacci. In realtà tutto il partito di Casini avrebbe voluto votare per Napolitano, ma si è piegato al diktat di Berlusconi. La Lega ha votato per Bossi, mentre Forza Italia ha scelto la scheda bianca : per evitare che qualcuno di loro ignori la consegna viene ordinato che tutti entrino ed escano dalla cabina elettorale a tutta velocità, in modo che non ci sia il tempo di scrivere un nome sulla scheda. "Correvano come bersaglieri", è il commento di Romano Prodi. Berlusconi accusa Napolitano di essere un comunista, ma negli anni si ricrederà. Almeno fino a quando non gli negherà la grazia per la condanna nel processo Mediaset.

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