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Quirinale: 1955, i franchi tiratori impongono Gronchi

Ce la fa il toscano anti-Nato. E Pajetta offre Cynar a Scelba

di Marco Dell'Omo

L'elezione del 1948 era stata solo l'antipasto. Le lotte intestine nella democrazia cristiana e dei suoi capi-corrente salgono di intensità nel 1955, l'anno in cui arriva al Quirinale Giovanni Gronchi sull'onda di una vera e propria congiura di palazzo.

L'elezione di questo toscano di Pontassieve, fondatore del partito popolare ed ex aventiniano, ha del rocambolesco. De Gasperi non c'è più, è morto da un anno: la Dc è ora nelle mani di Amintore Fanfani, cattolico di idee quasi socialiste in economia (è un seguace di Keynes ed è per un massiccio intevento statale per creare lavoro) ma tradizionalista in fatto di religione; contro di lui è schierata la corrente di destra "Concentrazione democratica" di Andreotti e Gonella.

Luigi Einaudi è stato un ottimo presidente della Repubblica, ma alla scadenza del settennato, nessun partito chiede che venga rieletto. Lui ci rimane un po' male, ma si adegua e si prepara a fare le valige per occuparsi a tempo pieno alla sua tenuta agricola di Dogliani, dove produce un ottimo barolo.

Fanfani, spalleggiato dal presidente del consiglio Scelba, punta sul presidente del Senato Cesare Merzagora, ex banchiere, ateo dichiarato ma eletto come indipendente nelle liste della Dc. Spera che in virtù di queste caratteristiche Merzagora venga considerato con favore dalle sinistre, con le quali desidera avere buoni rapporti. Ma si illude: Togliatti e Nenni, esclusi dall'elezione di Einaudi, pensano ad altre mosse per rientrare in gioco. Ma anche la destra Dc non vuole Merzagora e le prova un po' tutte per rompere le uova nel paniere di Fanfani. Una mattina, Andreotti va da Merzagora nel suo studio di presidente del Senato e gli fa il seguente discorso: "Presidente, non si candidi e converga invece su Einaudi. Se Einaudi non ce la dovesse fare sarebbe lei il candidato naturale,e tutti la voterebbero". Ma lui non si fa convincere e alla fine anche la destra Dc dice sì alla sua candidatura. Ma era un sì detto con lingua biforcuta. In realtà Andreotti e compagni avevano già deciso di tradire il candidato di Fanfani nel segreto dell'urna.

Il 28 aprile, alla prima votazione, Merzagora subisce una cocente sconfitta: solo 228 voti (i parlamentari Dc presenti sono 379). 120 vanno a Einaudi, 30 al presidente della Camera Giovanni Gronchi, mentre socialisti e comunisti votano per Ferruccio Parri al quale vanno 308 voti . Nel pomeriggio le cose peggiorano: Merzagora è stabile a 225 ma Gronchi incrementa fino a 127 mentre tutte le opposizioni scelgono la scheda bianca, come per far sapere che sono pronte a entrare nella partita . I presagi della mattina si trasformano in un incubo serale per Fanfani, quando al terzo scrutinio Gronchi scavalca Merzagora (281 contro 245). E' la fine del suo candidato che esce dall'esperienza con le ossa rotte.

Si assiste in quelle ore a una incredibile (con il senno di poi) saldatura tra la destra democristiana di Andreotti e la sinistra di Nenni e Togliatti, che decidono di sostenere Gronchi . Comunisti e socialisti vogliono essere determinanti nella scelta del capo delo Stato, ma danno vita a una alleanza paradossale, visto che qualche anno dopo Gronchi sarà l' artefice della nascita del governo Tambroni, appoggiato da Dc e missini. Ma allora , in quell'aprile del 1955, il toscano Gronchi era un fautore dell'apertura a sinistra, era amico del presidente dell'Eni Enrico Mattei e aveva posizioni da neutralista anti-Nato.

Fanfani prova a giocarsi le ultimissime carte, ma sa che l'impresa è disperata. A mezzanotte va da Gronchi con il vertice della dc e gli chiede di rinunciare. La tensione si taglia a fette. "La tua candidatura - gli dice Scelba - non va bene perché sembrerebbe il preannuncio di una svolta anti Usa". Gronchi si arrabbia : "E allora perché mi avete fatto eleggere presidente della Camera? Mi ritiro solo se il partito dice ufficialmente che sono totalmente idoneo a svolgere l'ufficio di presidente della Repubblica". Fanfani va al letto con un brutto presentimento. La mattina dopo la situazione precipita : Gronchi, che doveva farsi sentire in mattinata, è sparito e non risponde al telefono. Si fa vivo solo alle 11 e un quarto e dice che non ha alcuna intenzione di fare il passo indietro che gli è stato chiesto. Ai direttivi dei gruppi Dc Fanfani è costretto a cedere su tutta la linea: per evitare una spaccatura irreparabile (si rischiava di far eleggere Gronchi al quarto scrutinio con i voti determinanti dei comunisti e della minoranza di destra della dc) dà il suo assenso, obtorto collo, al candidato dei franchi tiratori: e nel pomeriggio del 29 aprile Gronchi viene eletto con la schiacciante maggioranza di 650 voti su 833. Lo votano i parlamentari della maggioranza, socialisti e comunisti , ma non Saragat, per il quale è un pericoloso populista (lo chiama "il Peròn di Pontedera").

Nel suo discorso di insediamento Gronchi non fa nulla per smentire al sua fama di quasi marxista . Chiede che "le masse lavoratrici" entrino nella macchina dello Stato e dice che bisogna fermare lo strapotere delle multinazionali. Socialisti e comunisti lo acclamano, l'ambasciatrice americana Claire Luce lascia platealmente la tribuna degli ospiti, Scelba , seduto al banco del governo, non batte le mani, e il comunista Pajetta per sfotterlo gli fa portare da un commesso un bicchiere di Cynar, l'amaro antistress. Fanfani fa buon viso a cattivo gioco, ma qualche giorno dopo dirà arrabbiatissimo a Scelba: "Basta, non posso continuare ad avallare una banda di ribelli". Poi toccherà a Antonio Segni.

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