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Napoli Festival: il teatro cinematografico di Lepage

'Kanata' su storia e realtà autoctoni canadesi

NAPOLI ANSAcom

Un nuovo grande romanzo teatrale, spettacolo dal taglio cinematografico di Robert Lepage, ''Kanata - Episode I, La controverse'', arriva in Italia, momento culminante del Napoli Teatro Festival, riproponendone i temi più amati, dalla libertà e l'impegno dell'artista alla questione dell'identità culturale, riportati ancora una volta in un'indagine-memoria che ripercorre la complessa storia del Canada, affrontata in storici spettacoli che vanno dalla grande e affascinante ''La Trilogie des Dragons'' al recente ''887'', mentre qui il fuoco è la ricostruzione del tentativo violento di distruzione fisica e dell'identità del popolo dei nativi americani, dei cosiddetti autoctoni. ''Kanata'' in irochese vuol villaggio, paese.
Attorno alla figura di una giovane donna, Tanya, senza più radici, sbandata, drogata e incapace di fare i conti con sé stessa, strappata neonata dalle braccia di sua madre, un'indiana Mohawk, affidata in adozione a una coppia di immigrati iraniani oramai ben inseriti, Lepage costruisce una vicenda corale che intreccia la vita appunto di varie persone, esemplari della realtà canadese d'oggi. Si va dai nuovi e vecchi immigrati, come i cinesi dei tempi delle guerre dell'oppio, a autoctoni che sono riusciti a riacquistare un proprio orgoglio, da agenti di polizia poco inclini a occuparsi dei problemi degli autoctoni, spesso ridotti a paria e drogati, ai centri di sostegno per i tossicodipendenti, con la loro igienica assistenza, sino ad artisti che sentono e scoprono l'urgenza creativa e morale di testimoniare il proprio tempo, come implicita denuncia (che è poi quel che fa Lepage stesso), scontrandosi con l'ostilità spesso degli interessati, con i mondi chiusi in difesa sia delle vittime, sia dei persecutori. Del resto sono stati gli stessi autoctoni canadesi a protestare con forza contro lo spettacolo, contestando che qualcuno esterno possa raccontare cosa loro hanno passato e cosa provano. Lepage inserisce così una discussione sulla libertà dell'artista, riguardo alla pittrice francese a Vancouver che lavora a una mostra sul tema della violenza sulle donne autoctone.
In scena tante storie, velleità e disillusioni, innamoramenti e abbandoni, egoismi, ipocrisie, gelosie e fraintendimenti di persone in genere prigioniere della propria solitudine. Del resto qui si salvano solo coloro che pian piano riescono, per varie ragioni, ad aprirsi agli altri e scoprirne la fragile ma intensa umanità, così che alla fine molti cerchi si chiudono, le due madri di Tanya si incontrano e accettano dopo che questa è stata vittima di un serial killer che infieriva proprio su sbandate ragazze autoctone disposte a prostituirsi per una dose, e si riuniscono con altri in vario modo legati alla loro vicenda in un finale che pare aprirsi a un segnale di speranza e convivenza.
Il regista-autore con la drammaturgia di Michel Nadeau, qui supportato eccezionalmente dal Thèatre du Soleil di Ariane Mnouchkine di cui utilizza i davvero ottimi e numerosi attori (oltre 30), costruisce un lavoro crudo e impietoso sulle ipocrisie di ieri e di oggi del civilissimo Canada come sempre di grande raffinatezza, che si sviluppa narrativamente col ritmo e il rapido susseguirsi cinematografico di scene, i cui cambio sono un suggestivo spettacolo a sé (firmate e dirette da Ariane Sauvé, mentre le immagini e proiezioni sono di Pedro Pires). E nella leggerezza dell'azione di questa gigantesca macchina, che se ha un limite è nel suo realismo asciutto ma assolutamente poco metaforico, ecco che nascono, accanto a scene simboliche come l'abbattimento di tutti i boschi e villaggi dei nativi, momenti antiretorici di rara intensità, di poesia e commozione, come l'incontro e lo sfiorarsi in un accenno di abbraccio delle due madri. Detto questo e dei meritatissimi e lunghi applausi, bisogna comunque notare che alcuni tagli, a cominciare dalla storia dell'aspirante attore, non avrebbero fatto male alle circa tre ore di spettacolo.

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