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Bonafede, un decreto per far tornare i boss in carcere

'Su nomina capo Dap nessuna interferenza'. Anm striglia Di Matteo

Un decreto legge per rimediare alle scarcerazioni dei boss. Mentre è al centro delle polemiche anche per le ombre della mancata nomina nel 2018 dell'allora pm antimafia Nino Di Matteo a capo del Dap,il Dipartimento che amministra le carceri, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede annuncia in Parlamento che farà in modo di far tornare dietro le sbarre capimafia e detenuti pericolosi usciti di prigione perchè affetti da gravi patologie tali da renderli a rischio contagio da Covid-19 nei sovraffollati penitenziari italiani.

In tanti, 376, sono passati alla detenzione domiciliare nel giro di un mese e mezzo. E tra di loro ci sono esponenti di spicco di mafia, camorra, 'ndrangheta e narcotrafficanti. Tre erano al 41 bis: Pasquale Zagaria, legato al clan dei Casalesi e fratello del superboss Michele; Francesco Bonura, imprenditore mafioso palermitano e Vincenzo Iannazzo, della 'ndrangheta. Altri erano sottoposti al regime di alta sicurezza, come l'ergastolano Antonino Sudato.

"E' in cantiere un decreto legge che permetterà ai giudici, alla luce del nuovo quadro sanitario, di rivalutare l'attuale persistenza dei presupposti per le scarcerazioni dei detenuti di alta sicurezza e al 41 bis", spiega Bonafede. L'idea è quella di consentire alle toghe di sorveglianza di riesaminare i casi decisi alla luce del mutato quadro dell'emergenza Coronavirus. Un passo che viene apprezzato dal procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho: "sorpreso" dalle scarcerazioni dei condannati al carcere duro, giudica positivamente la ricerca di "spiragli" per far rientrare "almeno i più pericolosi".

Intanto dall'Anm arriva aun monito al consigliere Di Matteo. "Per i magistrati - scrive l'associazione in una nota - ferma la libertà di manifestazione del pensiero, è sempre doveroso esprimersi con equilibrio e misura, valutando con rigore l'opportunità di interventi pubblici e le sedi ove svolgerli nonché tenendo conto delle ricadute che le loro dichiarazioni, anche per la forma in cui sono rese, possono avere nel dibattito pubblico e nei rapporti tra le Istituzioni. Ciò è richiesto, ancor di più a coloro che fanno parte di organi di garanzia costituzionale". 

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