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>ANSA-REPORTAGE/ Nel campo di Kara Tepe, qui ospiti,non migranti

Struttura accoglie i più vulnerabili da Siria, Iraq, Afghanistan

(di Patrizio Nissirio)

La piccola saluta con un 'salam alaaikum' e un sorriso mentre porta in mano un vasetto di fiori, con l'aria indaffarata. Oltre la rete, ragazzini urlano mentre sono impegnati in un'accanita partita di calcio.
    Più in là, una madre con un bambino si avvicina al chiosco delle informazioni, sul quale campeggiano scritte in inglese, arabo e greco. Nel giorno della Festa dell'Europa siamo a Kara Tepe, campo di accoglienza per famiglie di migranti e rifugiati in difficoltà - per esempio, con un solo genitore - vengono assistite. Una struttura sulla costa dell'isola greca di Lesbo, luogo-simbolo della crisi migratoria, ma dove la parola 'migrante' o 'rifugiato' è stata messa al bando. "Noi usiamo solo la parola ospite, o visitatore", spiega Maria Marinou, che assiste il direttore di Kara Tepe, Stavros Mirogiannis.
    Qui i migranti - attualmente poco meno di mille - hanno relativa libertà (lungo la strada costiera che porta al capoluogo Mitilini incontriamo una famiglia con passeggino, accanto a scritte Refugees welcome), e fuori dall'ingresso del campo gruppetti di persone sostano ai tavolini di plastica accanto a camion-bar. Kara Tepe è in mano alla municipalità di Lesbo, che si avvale dell'aiuto di Unhcr (che ha costruito le tende-prefabbricati), Croce rossa, della ong Samaritan e da Medici del mondo.
    "Qui accogliamo chi ne ha più bisogno. Per cui assistenza medica, informazioni, punti dove ricaricare i cellulari, ma anche zone dove svolgere attività. E naturalmente forniamo colazione, pranzo e cena. E c'è anche un chiosco dei gelati, barbiere e parrucchiere", spiega Maria. La gente - siriani, afghani e iracheni, soprattutto - arriva e se ne va da Kara Tepe: la massima permanenza è 25 giorni, dopo di che, molti vengono alloggiati in strutture pagate dalla municipalità.
    "Prima dell'accordo del 20 marzo tra Ue e Turchia era così anche a Moria, lo hotspot che ora è essenzialmente un centro di detenzione, gestito dall'esercito", dice Marinou.
    Nel campo si tenta di fare lezioni scolastiche, ma anche pittura, foto, giochi, e persino un'area dove le donne possono allattare. "Ma altre attività non sono possibili o non funzionano, perchè queste persone non vogliono iniziare una qualche attività, qui. Vogliono solo andarsene", aggiunge Maria, che ricorda come, accanto alle ong, ci sia "il lavoro della gente qualunque, come mia madre, che va al supermercato e porta pannolini, pane, giocattoli". Lo fanno ancora oggi, quando Kara Tepe è tranquillo ed ordinato.
    Gli ospiti guardano rilassati, qualcuno si avvicina, ma nessuno parla inglese, e tantomeno greco. Una situazione molto diversa da quella del 2015, quando improvvisamente, sulle coste orientali di Lesbo, si riversarono oltre 7.000 pesone al giorno.
    E la gente dell'isola si è prodigata, meritandosi persino una candidatura al Nobel per la pace.
    E' la grande lezione di Lesbo, come ricorda a una conferenza di ong dove si cercano soluzioni innovative per l'integrazione il sindaco di Mitilini, Spiros Galinos, "Noi abbiamo risposto con umanità, con serenità a questa crisi. Ed è l'unica risposta umana, perchè così non si imbocca la strada del razzismo, dell'intolleranza e della paura". (ANSAmed).
   

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