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Renzi cerca mediazione su riforma del Senato

Ieri Finocchiaro e Zanda. Ipotesi "listino" consiglieri, trattativa nella notte con Verdini

Matteo Renzi arriva a piedi al Senato, dove lo aspetta l'assemblea dei dem. Il premier si trova davanti ad un bivio: portare a casa, accettando una mediazione, una riforma costituzionale che non è proprio quella da lui voluta, ma è pur sempre storica; oppure andare avanti "come un rullo compressore" sulla sua riforma, che è anche più coerente con l'attuale assetto istituzionale, ma che rischia di creare uno scontro dentro il Pd con risultati non del tutto prevedibili. Qualcosa di più chiaro ci sarà stamattina (di ieri l'incontro con la relatrice alle riforme Anna Finocchiaro e il capogruppo al Senato Luigi Zanda), all'Assemblea dei senatori Pd. Renzi si presenta consapevole che se medierà sull'ipotesi dell'elezione dei senatori nell'ambito dei consigli regionali potrà sminare il gruppo coalizzato dietro al ddl Chiti (che propongono addirittura un Senato eletto come oggi), ma anche vincere le resistenze di Ncd, e dei maldipanciasti di Forza Italia. Mercoledì poi Finocchiaro e Calderoli dovranno proporre alla Commissione Affari costituzionali un testo base; l'idea è quella di prendere il ddl del governo correggendo i 3 punti su cui tutti sono d'accordo, e lasciando alla fase degli emendamenti il momento della ricerca della mediazione. O dello scontro e della rottura, che non esclude urne anticipate, come alcuni renziani suggeriscono.

Boschi, rispetteremo il Patto con Fi - Intanto prosegue la trattativa con Forza Italia: trattativa affidata anche al vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini che è stato in continuo contatto con Denis Verdini e Paolo Romani, fino a notte fonda. E al Corriere della Sera il ministro Maria Elena Boschi sottolinea che "Berlusconi ha ribadito il sostegno delle riforme e noi siamo abituati a rispettare i patti. Cambiare le regole con una maggioranza che includa l'opposizione è un plusvalore che va preservato".

Senatori scelti dai consigli regionali - Nell'incontro svoltosi di buon mattino a Palazzo Chigi, alla presenza del ministro, Finocchiaro e Zanda hanno fatto "tastare" il polso sia del Senato in generale che del gruppo del Pd in particolare. I punti certi sono l'adesione di tutta la maggioranza e di Forza Italia al superamento del bicameralismo perfetto e al fatto che solo la Camera voterà la fiducia e sarà l'Assemblea legislativa, mentre al Senato toccherà un ruolo di collegamento tra Stato e Regioni nonché alcuni compiti di garanzia: elezione del presidente della Repubblica, del Csm e di due giudici costituzionali, possibilità di chiedere alla Corte costituzionale un giudizio sulle leggi approvate dalla Camera. Renzi ha aderito ad alcune modifiche suggerite dagli interlocutori al ddl del governo, perché largamente condivise in Senato: maggior rappresentanza ai Consigli Regionali rispetto ai sindaci (il testo del governo dice metà per uno); più senatori per le Regioni maggiormente abitate rispetto a quelle con minore popolazione; riduzione dei 21 senatori di nomina quirinalizia. Il nodo rimane però come saranno eletti i futuri senatori. Renzi ha insistito affinché siano i Consigli Regionali ad eleggere al proprio interno quei Consiglieri che andranno a Roma in Senato. La proposta alternativa, lanciata dal ddl di Ncd, e fatta propria dall'altro relatore Roberto Calderoli e dal senatore Pd Francesco Russo, è che i cittadini contestualmente ai Consigli Regionali eleggano i senatori della propria regione. Le Regioni spingono per la prima formula. Con la seconda opzione avremo dei senatori che a tutti gli effetti saranno dei politici nazionali e come tali tenderanno a proiettarsi sulla politica nazionale, anche se il Senato non voterà la fiducia. Non dovranno tornare nei Consigli Regionali a confrontarsi con i problemi del territorio. L'elezione da parte dei Consigli Regionali è più coerente con l'attuale sistema federale, ma moltissimi senatori spingono per la seconda ipotesi perché potrebbero venir confermati anche nel nuovo Senato con funzioni nazionali. Anche nel 2005 il governo Berlusconi dovette cedere all'elezione diretta, perché altrimenti i senatori avrebbero affondato la riforma (poi bocciata da referendum popolare): "Nessun cappone fa il tifo perché arrivi Natale" disse allora il ministro Calderoli, che non a caso oggi da relatore rilancia la formula. 

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