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Riforme: tensione nel Pd, Colle firma ddl

I renziani chiedono alla minoranza di ritirare il Ddl sul Senato, ma Mineo ribatte: resta sul tavolo. M5S non esclude l'appoggio al documento ma frena: ne discuteremo in rete

Il ddl di riforma del governo è stato firmato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed è arrivato in Senato, dove oggi partirà il suo iter, prima in Commissione e poi in Aula, con l'obiettivo di approvarlo entro il 25 maggio. Ma ieri a tenere alta la tensione, soprattutto all'interno del Pd, ci hanno pensato i 22 senatori dem firmatari del ddl alternativo, i quali in una Assemblea del gruppo hanno rifiutato di ritirarlo, dando spazio così ai dubbi di Forza Italia secondo la quale sarebbe il Pd a creare problemi a Renzi e non gli "azzurri".

E il premier replica a muso duro ribadendo che si' si puo' discutere ma senza mettere sempre tutto in discussione da parte di alcuni senatori del Pd "in cerca di visibilità". Ieri mattina il presidente dei senatori Dem, Luigi Zanda, ha convocato la terza riunione dedicata alle riforme, e una quarta ci sarà martedì prossimo. Il fatto che alla fine non si sia votato è indice del fatto che nonostante la diversità di posizioni non si è arrivati alla rottura e che Zanda e il suo vice Claudio Martini sperano in una ricomposizione. Apparentemente le posizioni sono inconciliabili.

I 22 dissidenti, capeggiati dall'ex ministro per le riforme Vannino Chiti, mettono infatti in discussione uno dei "paletti" posti dal premier Matteo Renzi, quello di un Senato non eletto e senza indennità per i suoi inquilini. Il ragionamento dei 22 è che se il futuro Senato dovrà avere funzioni di garanzia (come prevede anche il testo del Governo), allora esso deve essere composto da senatori eletti direttamente dai cittadini e non espressione dei Consigli Regionali. Giorgio Tonini ha ricordato che il ddl del governo riprende le tesi dell'Ulivo del 1996 (erano le tesi numero 3 e 4) ma non ha convinto i 22 che con Corradino Mineo e Felice Casson hanno replicato con un "niet" alla richiesta di ritirare il testo.

Minacciosa la risposta di Casson alla domanda se ritiene vincolante l'indicazione del partito: "Prima viene la Costituzione e poi il Pd". Da un punto di vista pratico il mantenimento del ddl Chiti non rallenta l'iter parlamentare: la commissione Affari costituzionali adotterà infatti il ddl del governo come testo base e i restanti rimarranno lettera morta. Ma conta l'atteggiamento dei 22 che potranno riproporre le loro tesi in forma di emendamento e soprattutto potrebbero non votare il testo del governo. Zanda spera di trovare un accordo lavorando sulla valorizzazione delle funzioni del futuro Senato, come ha suggerito anche Anna Finocchiaro. Renzi non intende trattare sui suoi "paletti": "Noi rispettiamo tutti, discuteremo ancora in dettaglio sulla riforma, ma non si rimette tutto in discussione come se dopo 20 anni sia ammissibile tornare da capo", dice criticando, e dimostrandosi molto sorpreso, i 5stelle che "difendono" le indennità dei senatori. Grande Confusione c'è anche in Forza Italia. Ieri Giovanni Toti ha ribadito quanto affermato da Silvio Berlusconi lunedì in tarda serata che aveva corretto l'ultimatum di Renato Brunetta al governo.

Per Forza Italia, ha detto Toti, il "patto del Nazzareno" (quello dell'incontro Renzi-Berlusconi del 18 gennaio) è sempre valido, ed esso prevede la non eleggibilità del Senato. Toti ha fatto questa precisazione dopo che il capogruppo in Senato, Paolo Romani, rilanciava l'elezione diretta dei senatori e Maurizio Gasparri attaccava Renzi e il governo. Malumore c'è anche tra i deputati "azzurri" per gli ultimatum di Brunetta al governo sull'Italicum, che hanno rischiato di creare la rottura sulle riforme: scenario che spaventa tutti in Forza Italia, perché spingerebbe il partito in un angolo e perché potrebbe portare altri senatori e deputati a traslocare nella casa di Angelino Alfano.

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