E' la sindrome Bengasi, l'incubo di veder morire cittadini americani in Libia, come quell'11 settembre 2012 quando l'ambasciatore Usa Chris Stevens e altri tre connazionali furono uccisi in un attacco alla missione diplomatica in Cirenaica. Così, oggi, gli Stati Uniti hanno deciso di evacuare tutto il proprio personale dall'ambasciata di Tripoli, "troppo vicina - spiega Washington - agli intensi scontri senza fine tra le milizie libiche". Il Dipartimento di Stato Usa ha sconsigliato ancora una volta gli americani ad andare in Libia e ha esortato tutti i cittadini sul posto a "lasciare immediatamente" il Paese.
L'evacuazione della rappresentanza diplomatica è una misura precauzionale presa in base a un "rischio reale", ha spiegato il Segretario di Stato americano John Kerry da Parigi - dove ha partecipato a una riunione su Gaza - precisando che l'ambasciata non è chiusa ma che ha "sospeso" le sue attività. "Garantire la sicurezza del nostro personale è la priorità del Dipartimento di Stato, e non abbiamo preso questa decisione a cuor leggero.
Ma la sicurezza viene prima di tutto", ha sottolineato in una nota anche la portavoce Marie Harf, annunciando che il personale diplomatico è stato trasferito nella notte in Tunisia scortato da 80 marines. Non è noto per quanto tempo l'ambasciata Usa rimarrà inattiva ma, riconfermando "il sostegno al popolo libico durante questo periodo di sfide", Harf ha fatto sapere che si stanno "valutando le opzioni per un ritorno permanente dello staff quando le condizioni di sicurezza sul terreno miglioreranno". Del resto, non sono solo gli americani, né solo le ambasciate occidentali, ad aver lasciato Tripoli (e Bengasi) negli ultimi mesi, ma anche paesi come Arabia Saudita e Algeria. Pur sconsigliando viaggi in Libia, la Farnesina riferisce sul proprio sito che l'ambasciata d'Italia resta comunque "aperta, operativa e sempre contattabile".
La nota del Dipartimento Usa prosegue con un appello a una "soluzione pacifica", ma la sanguinosa prova di forza tra le diverse milizie che si contendono l'aeroporto di Tripoli dal 13 luglio non si ferma, neanche dopo 47 morti e 120 feriti. Ad affrontarsi sono gli ex ribelli di Misurata che tentano di spodestare gli ex alleati anti-Gheddafi di Zintan dallo scalo internazionale che controllano dalla caduta del regime nel 2011. Gli Zintani, accusati dai rivali di avere tra le loro fila combattenti e generali dell'esercito del Colonnello, vengono ritenuti il braccio armato del movimento liberale che, secondo alcuni deputati, avrebbe ottenuto più seggi degli islamisti alle elezioni del 25 giugno per il nuovo parlamento.
Il passaggio dei poteri dal Congresso Generale Nazionale libico (Gnc), il parlamento uscente, alla nuova Camera dei rappresentanti è previsto il prossimo 4 agosto, in un clima di tensione che ha impedito alle autorità anche di svelare il luogo della cerimonia e della prima seduta. Il governo ad interim ha lanciato ieri un ennesimo appello a fermare i combattimenti e a evitare "il crollo dello Stato". Ma la Libia appare già da tempo sull'orlo del baratro, baratro da cui anche gli americani oggi si sono voluti allontanare.