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Bruxelles, identificate tutte le 32 vittime degli attentati

Venerdì i funerali di Patricia Rizzo

Errori nelle indagini, scaricabarile, falle nella sicurezza. L'inchiesta sugli attentati di Bruxelles per ora è un puzzle senza soluzione, dove i pezzi non combaciano mai. Faical Cheffou aveva un alibi per la mattina del 22 marzo, e non poteva essere a Zaventem ad aiutare i kamikaze. Anzi, lui si dice contro l'Isis e ignaro dell'identità dei terroristi. E i magistrati gli credono, convincendo anche i media belgi che si tratta di un "errore" giudiziario. C'è poi un'altra questione che le autorità belghe vogliono chiarire, alimentando il gioco delle accuse reciproche che non sta aiutando le indagini: nessuno li mise in guardia dai fratelli El Bakraoui, né l'Fbi né l'Olanda, come invece afferma il ministro olandese della Giustizia. Intanto arriva la prima presa di posizione forte dall'Unione europea: "La tolleranza dell'Europa deve finire dove comincia la violenza", ha detto il presidente dell'Ue Donald Tusk, secondo cui "la solidarietà e la libertà prevarranno solo se saranno accompagnata dalla forza". E nell'Europa dell'incubo attentati, il presidente iraniano Rohani ha cancellato la visita di domani a Vienna per motivi di sicurezza.

Con l'aeroporto ancora in piena fase di riallestimento, chiuso anche mercoledì, e la metro riaperta ma con orario ridotto, l'unica operazione conclusa è per ora il riconoscimento delle 32 vittime. Per le autorità belghe, che contano anche i kamikaze, sono 35. 17 sono belgi e 15 stranieri, tra cui l'italiana Patricia Rizzo i cui funerali si terranno venerdì a Bruxelles. Sul fronte delle indagini nessuna novità. Cheffou è un uomo libero - ancorché incriminato di terrorismo - grazie all'alibi 'telefonico' che ha fornito. I tabulati dicono che era a casa sua al momento dell'esplosione in aeroporto. Anche per questo è stato visto nei pressi della metro di Maelbeek subito dopo, abitando nelle vicinanze.

"Credo che il riconoscimento del tassista sia all'origine dell'errore giudiziario", ha detto il suo avvocato Olivier Martins. Comunque è un fatto che non sia stata trovata alcuna traccia del suo dna né nell'appartamento-fabbrica delle bombe né nel taxi che ha portato i kamikaze. Nonostante questo c'è chi, come il sindaco di Bruxelles Van Mayeur, avrebbe preferito che restasse comunque dietro le sbarre per la sua attività di 'agitatore': "C'è una frontiera tra radicale agitato e radicale reclutatore, il magistrato non l'ha voluta superare", ha detto Van Mayeur.

Sul piano dello scontro istituzionale, il nuovo capitolo vede il Belgio contro l'Olanda. Il ministro olandese della giustizia ha detto di fronte al suo Parlamento che la polizia belga fu avvertita dai colleghi olandesi, a loro volta avvertiti dall'Fbi, della pericolosità dei fratelli El Bakraoui. Informazione smentita pubblicamente dalla polizia belga con un comunicato che mette in discussione ogni parola del ministro. Avvertiti o no, sono molti gli indizi ignorati tanto dalle autorità belghe quanto da quelle europee. Il New York Times, citando fonti di intelligence e giudiziarie Ue e Usa, scrive che l' 'armata' jihadista dell'Isis era già presente in Europa all'inizio del 2014, mesi prima che al Baghdadi proclamasse la nascita del Califfato. E aveva compiuto anche alcuni attacchi per 'testare' la capacità di reazione delle forze di sicurezza, come quello al museo ebraico di Bruxelles del maggio 2014 (4 morti), 'derubricato' dalle autorità come un gesto isolato compiuto da uno squilibrato. Ma l'attentatore, Nemmouche, aveva invece intensi contatti con Abaaoud, 'mente' degli attacchi di Parigi. La rete belga-francese è ampia e alla ricerca di reclute anche in questi giorni, come denuncia un consigliere comunale di Molenbeek: domenica sera, a diversi giovani del suo comune, sono arrivati sms di propaganda jihadista. "Fratelli miei, perché non unirsi a noi per combattere gli Occidentali? Fate le scelte giuste nella vostra vita", dicevano i messaggi.

 

QUELLO CHE SAPPIAMO FINORA SUGLI ATTACCHI DI BRUXELLES

 

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