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Brexit: colloqui aggiornati a domani

Negoziati 'in pausa', negoziatori al lavoro

    "Abbiamo deciso di fare uno sforzo supplementare, i negoziatori torneranno a discutere domani a Bruxelles per capire se le differenze si possono superare": lo ha detto la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, al termine della conversazione telefonica con Boris Johnson. "Nella telefonata di oggi abbiamo accolto con favore il fatto che siano stati compiuti progressi in molti settori. Tuttavia, permangono differenze significative su tre questioni critiche: parità di condizioni, governance e pesca. Entrambe le parti hanno sottolineato che nessun accordo è fattibile se questi problemi non vengono risolti", ha detto von der Leyen. "Pur riconoscendo la gravità di queste differenze, abbiamo convenuto che i nostri team negoziali dovrebbero intraprendere un ulteriore sforzo per valutare se possono essere risolti", ha aggiunto, annunciando una nuova conversazione telefonica con Johnson domani sera.

    Che il negoziato fosse entrato in "una fase molto difficile", al bivio finale mentre stanno per scadere anche i tempi supplementari, lo aveva del resto anticipato un portavoce di Downing Street fin da metà giornata. E a pesare non sono solo le residue linee rosse delle due parti sui dissidi cruciali rimasti da districare, ma pure l'improvvisa minaccia di Parigi di "un veto" in caso d'intesa insoddisfacente per la Francia su uno dei temi in sospeso: quello dei diritti di pesca europei nelle acque d'interesse nazionale britannico. I dossier rimasti in mano ai team capitanati da Barnier e Frost in quest'ennesima settimana di discussioni "intense" tenutesi stavolta alla Londra alla ricerca della quadratura del cerchio, si trasferiscono in ogni caso adesso su un altro piano. Da quello tecnico a quello politico, per verificare se vi sia la possibilità di arrivare almeno con un colpo di coda a un trattato di libero scambio accettabile per tutti. Trattato che se non eliminerà certo tutte le conseguenze della Brexit, potrebbe almeno allontanare l'incubo di un caos commerciale tanto devastante sulla carta per il Regno quanto inquietante anche per i 27, a maggior ragione nel combinato disposto con lo tsunami dell'emergenza Covid.

    I temi più spinosi sul tavolo - a meno di un mese dalla fine della transizione fissata per il 31 dicembre - sono i soliti: la pesca, questione di nicchia in termini di valore economico generale ma di grande importanza per nazioni rivierasche quali Francia o Danimarca; e il level playing field, ossia l'allineamento che Bruxelles vorrebbe da Londra sugli aiuti di Stato e su norme come quelle relative alle tutele ambientali o ai diritti dei lavoratori a garanzia d'una futura concorrenza leale, ma che il governo di BoJo non vuole sia trasformato in una perdurante sudditanza alla legislazione Ue in barba alla ritrovata "sovranità". Mentre va chiarito pure quale a organismo giuridico terzo demandare le dispute dell'avvenire. Di fatto si tratta del 5% d'un testo che per il restante 95% pare concordato. Ma più che sufficiente - date le questioni di principio, d'interesse, di bandiera, d'immagine in ballo e i tempi stretti - a far saltare ancora il banco.

    "Siamo impegnati a lavorare duro - aveva assicurato stamane un portavoce del premier Tory brexiteer - per cercare di raggiungere un accordo con l'Ue. Ci sono tuttavia ancora alcune questioni da risolvere e il tempo rimasto è poco, per questo siamo a uno stadio molto difficile delle trattative. Ciò che è certo - aveva però ammonito - è che noi non potremo firmare un deal che non rispetti i principi fondamentali sulla sovranità, sulla pesca e sul recupero del controllo". Parole a cui si era contrapposto, dall'altra sponda della Manica, l'avvertimento di segno uguale e contrario della Francia di Emmanuel Macron, affidato a Clément Beaune, sottosegretario agli Affari Europei: "Se l'accordo non sarà buono - il suo secco messaggio - noi ci opporremo. Ogni Paese ha diritto di veto". Mentre da Berlino rimbalzava l'ultimo tentativo di mediazione dei toni tedesco: col doppio richiamo del portavoce di Angela Merkel da un lato a "un compromesso ancora possibile", dall'altro alla puntualizzazione che un accordo che non potrà essere "a qualsiasi prezzo" dato il rapporto di forza di 27 a 1.

    Sia come sia, difficile immaginare che il dilemma resti sospeso fino a lunedì. Giorno nel quale il governo Johnson ha in programma di riportare alla Camera dei Comuni - per aggirare il veto di quella non elettiva dei Lord - il testo del contestato Internal Market Bill, che rivendica al Regno il potere di violare il diritto internazionale e modificare unilateralmente alcuni punti dell'intesa di divorzio raggiunta faticosamente l'anno scorso con l'Ue (in particolare sui controlli ai confini irlandesi), in assenza di svolte sui commerci futuri. Legge che, se approvata definitivamente, potrebbe segnare davvero il punto di non ritorno.

    Intanto il governo francese sottolinea che Parigi è pronta a opporre il suo "veto" per un accordo sulla Brexit "che non sia buono", vvero se l'accordo non risponderà ad alcune specifiche esigenze, in materia di pesca per esempio. "Se l'accordo non sarà buono noi ci opporremo", ha detto a Radio Europe1 il sottosegretario francese agli affari europei Clément Beaune. Alla domanda poi se l'intenzione sia di opporsi con un veto, Beaune ha risposto: ""Sì. Ogni paese ha diritto dei veto".

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