Dopo tre mesi di assenza, dovuti al coronavirus, il calcio professionistico è tornato ieri in Israele. Ma a Gerusalemme, a Haifa e a Tel Aviv i giocatori di sei squadre importanti si sono incontrati in stadi totalmente vuoti, fatta eccezione per il personale dei loro club, per i giornalisti e per i raccattapalle, tutti con mascherine sul volto.
Chi ieri sera si trovava nelle vicinanze dello stadio Ofer di Haifa ha egualmente udito il boato della folla: ma era solo una registrazione rilanciata nell'intento di incoraggiare i calciatori, che ha invece accresciuto la loro malinconia. Un velo di tristezza si avvertiva anche nello stadio Teddy di Gerusalemme dove su un grande schermo sono apparsi i volti di tifosi intenti a seguire la partita via 'Zoom'. Ma il silenzio delle tribune, hanno detto poi i calciatori, era demoralizzante.
E anche quando hanno segnato goal, non c'era a chi dedicare quel momento di gioia.
Nella partita Maccabi Tel Aviv-Hapoel Haifa (finita 2-0) due attaccanti si sono brevemente abbracciati dopo una rete.
L'abitudine, nota la stampa, ha prevalso sulle secche disposizioni del ministero della sanità.
Per la ripresa del calcio Israele si è ispirato al 'modello tedesco' con giocatori chiusi in casa, fatta eccezione per gli allenamenti e le partite. Controlli continui della temperatura sono pure stati previsti, con test obbligatori di coronavirus in caso di febbre. Inoltre gli stadi sono stati disinfettati a fondo. Anche se in questi giorni di relativo relax in Israele le spiagge e i parchi naturali sono affollati, negli stadi è stato mantenuto un vuoto quasi assoluto. Cosa che ha irritato la stampa sportiva.
Malgrado gli allenamenti insufficienti, ieri comunque il calcio israeliano è tornato a sollevare la testa. "Ma è stato come uno spettacolo senza l'orchestra - lamenta Yediot Ahronot -. Il calcio è stato inventato per gli spettatori. Finché il pubblico non sarà di nuovo ammesso, non si potrà dire che sia ripreso davvero".