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ANSA/ L'incognita solidarietà sul futuro dell'Europa

Dal 10 al 12 maggio l'ottava edizione dello Stato dell'Unione

(di Eloisa Gallinaro)

Il trionfo elettorale di Viktor Orban nel nome della difesa dell'Ungheria dall''invasione' dei migranti musulmani è un altro tassello nella disgregazione di quell'Europa che non ha mai superato gli egoismi nazionali ma, fino a tempi recenti, aveva almeno trovato spunti di compromesso su valori e strategie condivisi. "Rinchiudersi all'interno di una qualche fortezza nazionale, regionale o locale non funzionerà" e non solo per ciò che riguarda l'immigrazione, osserva Renaud Dehousse, presidente dell'Istituto Universitario Europeo (Eui), spiegando le ragioni della scelta della "Solidarietà in Europa" come tema dell'edizione di The State of the Union 2018, che si terrà dal 10 al 12 maggio tra Firenze e Fiesole. "I problemi non si dividono come fette di torta - aggiunge Dehousse - vanno affrontati insieme, così ci si accorge che un Paese come l'Italia che chiede solidarietà agli altri sull'immigrazione contribuisce allo sviluppo economico di tante regioni dell'est europeo. La solidarietà ha un senso in un campo solo se viene ricambiata. E questa si chiama politica.

    Altrimenti è chiaro che l'Europa non ha futuro". D'altra parte, sottolinea Vincenzo Grassi, segretario generale dell'Eui, le sfide "interne ed esterne" con le quali si confronta l'Ue non consentono di intendere la solidarietà "esclusivamente nei termini un po' meccanici della vecchia politica di coesione per cui si trasferiscono risorse essenzialmente finanziarie dalle aree più ricche a quelle più povere. La solidarietà si gioca anche sul piano della condivisione di rischi e responsabilità e sicuramente la questione della politica di sicurezza e difesa rientra in questa concezione allargata". Soprattutto alla luce della posizione statunitense che chiede all'Ue una maggiore assunzione di responsabilità, a una Russia sempre più presente sui teatri di crisi, a un quadro di instabilità ai confini dell'Unione che va dal Nord Africa al Medio Oriente. "In questa prospettiva - esemplifica Grassi - bisogna che i Paesi baltici capiscano che c'e' un problema di sicurezza nel Mediterraneo e che i Paesi del Mediterraneo capiscano che c'è un problema di assertività russa, in generale ma particolarmente avvertito in alcuni Paesi dell'area limitrofa".

Ed è nel campo minato che divide la vecchia Europa dai falchi di Ungheria, Polonia, Slovacchia, Repubblica ceca ma anche dell'Austria di Sebastian Kurz che si gioca non solo la partita della sicurezza e di una politica estera strettamente connessa ai fenomeni migratori, ma anche quella della futura identità dell'Europa, con una variabile negativa che fino al mese scorso nessuno avrebbe preso seriamente in considerazione: l'Italia. "Bisogna vedere quale sarà il nuovo governo - ragiona Andrew Geddes, direttore del Centro per le politiche migratorie dell'Eui - ma c'è la possibilità che l'Italia si avvicini alle politiche del gruppo di Visegrad", blocco granitico contrario alle politiche dell'accoglienza e ai progetti di una maggiore integrazione. Secondo Geddes, che comunque esclude una modifica della Convenzione di Dublino, "la possibilità di una politica comune europea c'è, ma nel senso spiegato da Kurz: dimenticare la solidarietà all'interno dell'Ue e concentrarsi sulle frontiere esterne" anche attraverso accordi con i Paesi di provenienza dei migranti, soprattutto africani, per gestire i flussi e/o rispedirli al mittente". Gli stupri e le violenze contro in Libia ne sono "un terribile esempio di cui, in un certo senso, l'Europa è responsabile".

   

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