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Gb: 20 anni fa il trionfo di Tony Blair

Delle mitiche promesse resta poco, oggi Labour rischia il crollo

"E' un nuovo giorno, non è vero?". Con queste parole Tony Blair, il 2 maggio del 1997, diventava a 43 anni il più giovane primo ministro britannico dal 1812 grazie a un trionfo a valanga nelle elezioni per il rinnovo dei Comuni che segnavano lo storico ritorno del Labour al potere dopo l'epoca Thatcher-Major. A distanza di 20 anni esatti da quel momento di gloria poco resta della controversa eredità blairiana in un partito profondamente mutato e che si trova ad affrontare uno dei suoi tornanti più difficili: a picco nei sondaggi e con un nuovo leader radicale, Jeremy Corbyn, che - inviso all'establishment e sotto il fuoco 'amico' dell'opposizione interna - rischia un tracollo nel voto anticipato dell'8 giugno.
    Appariva invece luminoso il destino dell'inventore del New Labour che in quel 1997 portava a Downing Street un programma liberal-riformatore, un look tutto nuovo, un'oratoria irresistibile e la promessa di rendere finalmente 'cool' la Gran Bretagna. Spazzando via il tradizionale grigiore Tory. Tante le speranze e le promesse messe allora in campo da Blair, a partire dalla Terza Via di una nuova sinistra lib-lab fino alla coraggiosa spinta europeista. E non poche le vittorie accreditate poi all'unico premier laburista rimasto al potere un decennio - tre le elezioni vinte - accompagnato dall'aura della spinta al rinnovamento, di un felice ciclo economico, d'una vivace vita culturale e artistica. Ma non senza il parallelo appesantirsi graduale dell'altro piatto della bilancia: fatto di adeguamento a un modello liberale destinato a lasciare indietro troppe persone e a ridare ossigeno alle diseguaglianze sociali; di un culto mediatico della personalità alimentato della macchina della propaganda del brutale alter ego Alistair Campbell; di rapporti fin troppo stretti con spregiudicati tycoon come Rupert Murdoch (pettegolezzi boccacceschi inclusi).
   A macchiare lo storytelling blairiano resta però soprattutto la decisione del 2003 di trascinare il Paese nella sanguinosa guerra in Iraq come vassallo degli Usa di George W. Bush: contro il volere della sua gente, contro le oceaniche manifestazioni di protesta di quei giorni e a colpi di fake news disseminate attraverso i media sulle presunte armi di distruzioni di massa di Saddam, sui suoi fantomatici legami con Al Qaida, su altro ancora. Una vicenda capace di offuscare la stella di Tony Blair con la stessa rapidità con cui si era accesa, fino a valergli l'appellativo di 'Bliar', un gioco di parole sul suo cognome col vocabolo inglese 'liar' (bugiardo), e a costargli una condanna 'postuma' (morale e politica, se non giudiziaria) da parte della commissione indipendente Chilcot chiamata a indagare a scoppio ritardato su quel conflitto. Un giudizio che pesa come un macigno tanto da spingere uno dei più illustri storici britannici, Ian Kershaw, a sentenziare che l'ex leader passerà in fin dei conti alla storia "con una sola parola: Iraq". Dopo l'uscita di scena di Blair nel 2007 le cose sono andate del resto solo peggiorando per il Labour. La parte di eredità positiva è stata via via dissipata dai successori, da Gordon Brown a Ed Miliband (sconfitti alle urne rispettivamente nel 2010 e nel 2015), i quali hanno dovuto pagare pure i conti con l'altro lato della medaglia del lascito del grande ammaliatore del '97. Ora il timone è passato al vecchio socialista Corbyn, scelto dalla base militante proprio in quanto anti-blairiano. Ma anche per lui le prospettive elettorali, stando ai sondaggi, appaiono fosche in vista dell'8 giugno. Fosche forse come non mai. Blair, da parte sua, sta rovando a riciclarsi in chiave di alternativa al radicalismo old fashion corbyniano per tentare di opporsi alla Brexit: ipotizzando in prospettiva - per il momento dietro le quinte, ma senza celare la tentazione di un qualche ritorno alla politica attiva - nuove alleanze 'alle Macron' che vadano oltre "le lealtà di partito". Blair tuttavia ha ormai 63 anni, gli ultimi dei quali trascorsi da consulente disinvolto,  strapagato e criticato di dittatori e oligarchi degli affari: senza contare la parentesi fallimentare quanto opaca in veste di mediatore di un comatoso negoziato israelo-palestinese per conto del Quartetto. Difficile immaginare che possa risuscitare una popolarità perduta con il mito della gioventù.
   

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