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Brexit: May ai Lord, non bloccate legge

'Spero che Camera Alta presti attenzione al voto dei Comuni'

La Brexit va e Oxford pensa a cercarsi un 'rifugio' in riva alla Senna. Per ora è un'ipotesi, ma il Daily Telegraph la spara comunque in prima pagina: la celebre università britannica, simbolo accademico dell'isola al pari di Cambridge, sta valutando seriamente d'interrompere 7 secoli di tradizione tutta inglese e di dar vita a un campus satellite a Parigi per poter continuare ad intascare anche in futuro i preziosi fondi europei. L'indiscrezione arriva nel giorno in cui alla Camera dei Lord comincia 'l'ultimo miglio' della legge destinata ad autorizzare il governo Tory di Theresa May ad avviare - fra un mese o poco più, secondo le intenzioni della signora primo ministro - l'iter formale di divorzio del Regno dall'Ue. Ma è dal referendum del 23 giugno scorso che gli atenei britannici si preparano, non senza inquietudine, agli scenari che potranno scaturire quando la Brexit sarà completata. Temendo non solo un taglio degli stanziamenti comunitari, ma anche una marginalizzazione dal network internazionale della ricerca.

Ecco quindi che si studiano soluzioni per scongiurare i timori dell'isolamento. Il Telegraph riporta fonti francesi che confermano contatti a cavallo della Manica con diverse istituzioni accademiche "di primo piano": oltre a Oxford, anche Warwick risulta in trattative per poter aprire (forse già nel 2018) una sede parigina. Obiettivo: godere del medesimo status concesso alle università francesi, con corredo di contributi messi a disposizione da Bruxelles. Denaro fondamentale per gli atenei del Regno se si considera ad esempio che il solo programma Horizon 2020 della Commissione europea mette in gioco oltre 2 miliardi di euro stanziati verso l'isola. Un portavoce di Oxford ha precisato che nessuna decisione è stata ancora presa, ma ha aggiunto che l'università intende rispettare la sua vocazione internazionale, e mantenere i legami in Europa, qualunque sia il futuro politico del Paese. Futuro che passa anche dal dibattito apertosi giusto oggi fra i banchi rossi alla Camera dei Lord sulla legge di via libera alla Brexit. Di fatto, l'ultimo giro di giostra prima d'un passo senza ritorno o quasi: la notifica da parte del governo May dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona, start dei negoziati di recesso dal club dei 28. Un passaggio parlamentare non del tutto scontato, ma che la premier ha mostrato di non temere troppo rivolgendo un monito vagamente minaccioso ai pari del Regno (non eletti) a "non rallentare ciò che il popolo vuole".

I Comuni (a cui spetta in ogni caso l'ultima parola) hanno "approvato la legge a larga maggioranza e senza emendamenti - ha avvertito brusca -, spero che la Camera Alta vi presti attenzione". Il provvedimento viene discusso sino a domani sera nei suoi termini generali e, salvo richieste irrituali, non è previsto per ora un voto. Solo una sorta di silenzio assenso finale. Dopo questa fase si entrerà tuttavia nel vivo degli emendamenti, con almeno alcuni Lord decisi a dar battaglia: per rimandare alla Camera bassa la richiesta di garanzie immediate sui diritti dei cittadini Ue residenti nel Regno e degli expat britannici che vivono nel continente, ma soprattutto di un impegno per un nuovo voto formale a Westminster sull'esito dei negoziati con l'Ue prima d'un accordo firmato. Ipotesi, questa, che l'esecutivo esclude, ma su cui insiste fra gli altri Angela Smith, leader dell'opposizione alla Upper House, pur ribadendo che il Labour di Jeremy Corbyn non intende rallentare la tabella di marcia della May. Nonostante i nuovi allarmi di giornali eurofili come Guardian e Financial Times sul futuro dell'economia o sul limbo in cui potrebbero precipitare milioni di europei che abitano da anni in Gran Bretagna e la fanno prosperare. E nonostante gli appelli bellicosi in extremis di un certo Tony Blair.

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