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L'Isis minaccia ancora: "La Libia è la porta per arrivare a Roma"

Campagna terrore jihadisti su web, immagini capitale in fiamme

"La Libia è la porta per arrivare fino a Roma". E' il titolo della nuova campagna del terrore dei jihadisti dell'Isis in Libia, che su Twitter hanno pubblicato una serie di immagini che mostrano la città eterna in fiamme sovrastata da una mappa della Libia dove campeggia la bandiera nera del Califfato ed un combattente armato a lato. Nel messaggio postato sul proprio account Twitter un combattente Isis, Abu Gandal el Barkawi, si appella ai jihadisti ad "andare a Roma, o Romia, passando per la Libia, la porta per Roma". Nel messaggio sono postate anche immagini che ritraggono la città eterna in fiamme, vista dal cupolone di San Pietro. Nel testo Barkawi aggiunge: "le armi degli ottomani sono state lanciate e hanno accerchiato Roma dopo avere conquistato la Libia a sud dell'Italia. Chi vuole prendere Roma e l'Andalusia deve cominciare dalla Libia".

Video appello jihadisti, "uniamoci e andiamo in Libia"  - Un "quadro" dell'Isis, il saudita Ali el Gezrawi ha invitato "i fratelli all'unità" in Arabia Saudita, Tunisia, Egitto e Sudan a recarsi in Libia per combattere l'esercito libico. In un video pubblicato su un sito di Tripoli, Gezrawi, col volto coperto, ha detto: "la Libia è la terra della jihad e dell'immigrazione, non appartiene solo ai libici, ma a tutti i musulmani che credono in dio, ed è uno Stato del Califfato". Il jihadista ha poi minacciato di morte il generale Khalifa Haftar, comandante dell'esercito libico. Nelle stesse ore i sostenitori dello Stato Islamico a Sirte hanno hanno lanciato su Twitter l'hashtag "afflusso verso la Libia" e pubblicato alcuni video che mostrano la città libica nelle mani dell'Isis. Gli jihadisti dell'Isis presenti a Sirte, in Libia, hanno inoltre creato una sorta di "emirato", sostituendo i tribunali civili con una Corte islamica della Sharia. Lo scrive un sito di informazione locale citando testimoni, secondo i quali gli jihadisti hanno imposto classi separate per uomini e donne in scuole e università.

Dopo uccisione archeologo Isis distrugge tempio Palmira - Cinque giorni dopo aver decapitato su una piazza pubblica di Palmira Khaled al Asaad, 81 anni, uno dei massimi esperti siriani di antichità ed ex direttore del sito archeologico locale, l'Isis ha distrutto uno dei principali templi dell'antica perla nel deserto siriano. E' quello di Baalshamin, a poche decine di metri dal teatro romano della città, dove la Stato islamico aveva inscenato alcune esecuzioni pubbliche. Anche questa volta a riferirlo è l'ong Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), che cita alcuni residenti della città in fuga dalla furia assassina dei jihadisti. Il santuario di Baalshamin (Il signore del Cielo) è del secondo secolo dopo Cristo ed è dedicato ad una divinità asssimilabile a Mercurio. Al Asaad è stato barbaramente ucciso il 18 agosto: decapitato sulla pubblica piazza davanti al museo che per decenni ha diretto, e il suo cadavere appeso ad una colonna romana, suscitando durissime reazioni internazionali e un profondo sdegno in tutto il mondo.

Il sito archeologico di Palmira e' da mesi sotto attacco dell'Isis e la distruzione del tempio di Baalshamin é l'ennesimo duro colpo per l'antica città semita situata nel centro della Siria. Il sito e' caduto nelle mani dello stato islamico il 20 maggio e da allora e' stato usato come palcoscenico per efferatezze e violenze. In un video diffuso all'inizio di luglio dall'Ondus, vengono mostrate immagini scioccanti: venticinque soldati siriani inginocchiati, alle loro spalle altrettanti giovani, alcuni ragazzini di forse 13 o 14 anni, che li uccidono con un colpo alla nuca mentre sulle gradinate dell'anfiteatro si vedono centinaia di uomini in abiti civili che assistono. Dichiarata dall'Unesco patrimonio dell'umanità la città fiorì nell'antichità come punto di sosta per le carovane di viaggiatori e mercanti che attraversavano il deserto siriano ed ebbe un notevole sviluppo fra il I ed il III secolo dopo Cristo. Per questo motivo fu soprannominata la 'Sposa del deserto'. Il nome greco della città, 'Palmyra', e' la traduzione fedele dall'originale aramaico, Tadmor, che significa 'palma'.

La città e' citata nella Bibbia e negli annali dei re assiri, ma in particolare la sua storia è legata alla regina Zenobia che si oppose, secondo la tradizione, ai romani e ai persiani. Poi venne incorporata nell'impero romano e Diocleziano, tra il 293 e 303, la fortificò, per cercare di difenderla dalle mire dei Sasanidi facendo costruire, entro le mura difensive, ad occidente della città, un grande accampamento con un pretorio ed un santuario per le insegne per la Legio I Illirica. A partire dal IV secolo le notizie su Palmira si diradano. Durante la dominazione bizantina furono costruite alcune chiese, anche se la città aveva perso importanza. L'imperatore Giustiniano, nel VI secolo, per l'importanza strategica della zona, fece rinforzare le mura e vi installo' una guarnigione. Poi sotto il dominio degli arabi la città andò in rovina.

Il sito archeologico comprende la via colonnata, il santuario di Nabu, le Terme di Diocleziano, il teatro e l'Agora. Vere e proprie perle architettoniche. Fondato nel 1961 all'entrata della città moderna, il museo di Palmira raccoglie numerosi reperti ritrovati nel sito archeologico che testimoniano l'alto livello di raffinatezza raggiunto dall'arte palmirea. Per timore di distruzioni, centinaia di statue e reperti del sito siriano 240 km a nord-est di Damasco sono stati trasferiti in altre località già prima dell'assalto finale dell'Isis.

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