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Ungheria, lacrimogeni polizia sui migranti

In oltre 100mila hanno attraversato la Serbia verso il nord Europa. Bulgaria invia blindati alla frontiera. Oim, 2.373 morti Mediterraneo da inizio anno

La polizia ungherese è intervenuta lanciando lacrimogeni contro un gruppo di 200 rifugiati che volevano parlare con un giornalista della Tv pubblica nel centro di accoglienza di Roeszke. I migranti protestavano perché i funzionari dell'Ufficio immigrazione registrano i richiedenti asilo prendendo loro le impronte digitali. 

Il governo di Budapest di Viktor Orban ha deciso di inviare un nuovo corpo speciale, formato da oltre 2 mila uomini, per pattugliare il confine ungherese, bloccando i profughi.Il capo della polizia Karoly Papp ha assicurato ai giornalisti che "non avranno l'ordine di sparare", mentre il portavoce del governo Zoltan Kovacs ha detto che si sta valutando l'uso dell'esercito. 

Intanto l'Onu prevede che fino a 3mila rifugiati e migranti al giorno potrebbero attraversare la frontiera tra la Grecia e la Macedonia nei prossimi giorni. Molti provengono da Paesi colpiti dalla violenza come la Siria, l'Afghanistan e l'Iraq.  Piu' di 10mila rifugiati e migranti sono giunti in Serbia e al confine tra la Grecia e la Macedonia dove le persone continuano ad attraversare la frontiera in gruppi di 300-400 prima di continuare il loro viaggio in treno o in bus fino alla Serbia. Al momento - ha detto oggi a Ginevra l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) - prevediamo che tali arrivi continueranno nei prossimi giorni al ritmo di fino a 3mila al giorno. Intanto la Bulgaria ha disposto l'invio di alcuni blindati ai valichi di frontiera con la Macedonia, per l'aumento dei flussi migratori. "Si tratta di una misura preventiva diretta a rafforzare il presidio lungo il confine macedone e affiancare le pattuglie di guardie di frontiera", ha detto un portavoce del ministero della difesa, secondo i media. 

Sono 100 mila i migranti e i profughi in viaggio lungo la 'rotta balcanica' che finora hanno attraversato la Serbia diretti verso i paesi del nord Europa. Lo ha detto il ministro del lavoro e affari sociali serbo Aleksandar Vulin, secondo il quale oltre 4 mila migranti hanno espresso l'intenzione di chiedere asilo alla Serbia. Parlando ai giornalisti a Vrsac (nordest della Serbia), Vulin ha sottolineato che la situazione nel Paese e' sotto controllo, non si registrano tensioni o incidenti e che dal punto di vista sanitario non vi sono al momento pericoli di natura infettiva o epidemica. Per il ministro tuttavia, la Serbia non puo' far fronte da sola all'emergenza migranti, e sono necessari per questo aiuti dalla Ue e dal resto della comunita' internazionale. "Ci aspettiamo che anche di questo si parli alla conferenza sui Balcani in programma giovedi' a Vienna", ha detto Vulin.

Oim, 2.373 morti Mediterraneo da inizio anno  - 2.373 migranti sono morti dall'inizio dell'anno nel tentativo di giungere in Europa via mare, secondo gli ultimi dati aggiornati al 24 agosto resi noti a Ginevra dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Se si considerano gli ultimi 365 giorni, il totale è di 3.573 migranti morti mentre cercavano di raggiungere l'Italia, la Grecia e la Spagna pari ad una media "allarmante" di quasi dieci morti in mare al giorno , ha detto il portavoce dell'Oim. Sul fronte degli arrivi, il numero di migranti e rifugiati giunti in Europa via mare nel 2015 è ormai prossimo alla soglia dei 300mila, ha sottolineato l'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr): dall'inizio dell'anno infatti 292.00 rifugiati e migranti hanno attraversato il Mediterraneo, di questi circa 108.000 sono giunti in Italia e oltre 181mila in Grecia.

Ue, 40mila numero troppo piccolo - "Il numero di 40mila profughi da ridistribuire resta una cifra proporzionalmente molto piccola rispetto al numero di persone che arriva" in Grecia e negli altri paesi Ue. Così una portavoce della Commissione Ue. "Speriamo di avere il sostegno delle capitali quando entro fine anno presenteremo il meccanismo permanente" di ridistribuzione.  "Siamo consapevoli della decisione della Germania di non rimandare indietro al primo paese d'ingresso in Ue i profughi siriani" che arrivano sul suo territorio. Così una portavoce della Commissione Ue, spiegando che si tratta della "clausola di sovranità" prevista dal regolamento di Dublino, applicata in "oltre 2000 casi" nel 2015. Va avanti l'approccio degli hotspot per aiutare i paesi Ue in prima linea con la registrazione dei migranti all'arrivo sul loro territorio. Quello di Catania, in Sicilia, ha detto una portavoce della Commissione Ue dopo le critiche di Germania e Francia, "è già in piedi" mentre "quello in Grecia, al Pireo, è in corso di completamento". Quanto alla necessità di altri hotspot nei paesi della rotta balcanica e in Ungheria, Bruxelles è "pronta a inviare squadre" anche in questi paesi "ma finora non ha ricevuto nessuna richiesta di aiuto in questo senso" da nessuno dei paesi. "Ci aspettiamo", ha aggiunto una portavoce della Commissione, "che la questione venga sollevata al summit dei paesi dei Balcani occidentali in programma venerdì" a Vienna.

Emergenza nei Balcani si sposta in Serbia  - L'emergenza migranti nei Balcani si sposta alla Serbia, dove gli arrivi ogni giorno si contano a migliaia, dopo il dietrofront della Macedonia, che ha rinunciato al blocco della frontiera con la Grecia, con un miglioramento della situazione nella località di confine di Gevgelija. Le cifre parlano di oltre 23 mila immigrati nelle ultime due settimane, quasi 90 mila dall'inizio dell'anno. Nell'ultimo weekend sono stati circa 10 mila i migranti passati in Serbia, nella regione meridionale di Presevo, un territorio a maggioranza albanese e musulmana.

 IL LANCIO DELLE GRANATE ASSORDANTI

 

 Tra loro tante donne e bambini, intere famiglie disposte a percorrere a piedi sotto il sole centinaia di chilometri pur di scappare dal dramma della guerra e della desolazione dei loro Paesi d'origine. Solo la notte scorsa a Belgrado sono giunti 70 autobus carichi di migranti, in gran parte profughi dalle zone di guerra di Siria, Iraq, Afghanistan. Ma arrivano anche pachistani, cingalesi, africani. Una massa umana spropositata per un Paese di soli 7,5 milioni di abitanti, non ancora membro dell'Ue e con mezzi finanziari molto limitati. Ma nonostante ciò la Serbia sembra per ora rispondere in modo composto all'emergenza umanitaria. In Serbia sono stati allestiti quattro centri di accoglienza, due a sud a Presevo e Miratovac, e due a nord al confine con l'Ungheria, a Kanidjia e Subotica.

 E' infatti l'Ungheria il Paese dove quasi tutti i profughi intendono recarsi, e da lì proseguire poi verso Austria, Germania, Svezia, Francia e altri paesi del nord Europa. Ma l'impresa non è agevole, visto che per entrare in Ungheria bisogna superare il muro metallico e di filo spinato alto quattro metri che il governo conservatore di Viktor Orban ha deciso di erigere a scopo 'difensivo' lungo tutti i 175 chilometri della frontiera con la Serbia. La conclusione della barriera, prevista inizialmente per novembre, è stata anticipata per fine agosto. Una volta in Serbia, profughi e migranti possono presentare domanda di asilo, ma la stragrande maggioranza ottiene un permesso di soggiorno temporaneo di 72 ore per poter attraversare il territorio serbo e raggiungere l'Ungheria. Lo fanno in treno, in autobus di linea, auto e pullmini privati, e tanti anche a piedi.

 A Belgrado, dove i migranti a centinaia bivaccano in parchi e spiazzi della città, oggi è stato aperto un Info Centre dotato di rete wi-fi per l'uso di personal computer e cellulari e nel quale è possibile ottenere informazioni sulle modalità delle domande di asilo, sull'assistenza legale e psicologica e su altri problemi di ordine pratico. Apprezzamenti per l'organizzazione dell'accoglienza sono stati espressi al governo serbo dal rappresentante Ue a Belgrado, Michael Davenport, mentre è sostanzialmente positiva e amichevole la reazione della popolazione serba nei confronti della massa di profughi, ai quali vengono donati cibo e altri generi di prima necessità. 

Fatto, questo, che si spiega probabilmente con l'esperienza dolorosa di un Paese che ha provato sulla propria pelle il dramma delle centinaia di migliaia di profughi serbi affluiti nel Paese da Croazia, Bosnia e Kosovo in conseguenza delle guerre sanguinose degli anni novanta nell'ex Jugoslavia.

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