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Le donne-simbolo: Sakineh, Asia Bibi, Meriam

Le donne-simbolo: Sakineh, Asia Bibi, Meriam

Storie di persone comuni divenute emblema violazione diritti

ROMA, 26 ottobre 2014, 12:24

Redazione ANSA

ANSACheck

Meriam Ibrahim - RIPRODUZIONE RISERVATA

Meriam Ibrahim - RIPRODUZIONE RISERVATA
Meriam Ibrahim - RIPRODUZIONE RISERVATA

Sakineh, Meriam e Asia Bibi, tre donne accomunate da un destino di dolore, ma anche di speranza. Tre storie di donne, di persone comuni, divenute l'emblema della violazione dei diritti umani in nome della sharia nei loro Paesi di origine: sempre più attuali dopo l'impiccagione oggi all'alba dell'iraniana Reyhaneh Jabbari, accusata di avere ucciso un uomo che minacciava di violentarla.

Drammatica, ma con un lieto fine, la vicenda dell'iraniana Sakineh Mohammadi-Ashtiani, 47 anni, condannata alla lapidazione per adulterio e poi all'impiccagione per l'uccisione del marito. La donna è poi stata amnistiata e liberata il 19 marzo dopo otto anni in carcere anche grazie ad una mobilitazione internazionale senza precedenti. Il suo caso era stato posto anche all'attenzione del Parlamento Europeo con la presentazione di un dossier che documentava la sua innocenza e le violenze subite. Ha commosso e indignato il mondo anche la storia in Sudan di Meriam Yahia Ibrahim Ishag, 27 anni. Dopo la condanna a morte per l'apostasia e a 100 frustate per adulterio (per aver sposato un cristiano) inflitta lo scorso maggio, la giovane cristiana era stata arrestata e messa in cella insieme al figlioletto di 20 mesi con una sentenza shock che aveva suscitato orrore. La donna era stata anche costretta a partorire in carcere il suo secondo figlio in condizioni disumane. Ma grazie a una campagna internazionale e all'intervento del governo italiano Meriam è stata salvata dalla forca. Moltissimi Paesi e ong si erano interessati alla sua sorte, emblematica delle persecuzioni subite dai cristiani nel mondo: Siria, Iraq e Nigeria in primis.

Ancora sconosciuto è invece il destino di Asia Bibi. Se non ci sarà un miracolo la donna cristiana, madre di cinque figli, morirà sul patibolo: l'Alta Corte di Lahore, in Pakistan, ha infatti respinto il ricorso contro la condanna a morte per "blasfemia" in primo grado, presentato dai difensori della donna, accusata di aver "insultato" il profeta Maometto in un litigio con altre due donne, entrambe musulmane.

Sakineh, Meriam, Asia Bibi e Reyhaneh sono solo alcune storie di donne che hanno rischiato o ancora rischiano il patibolo. Ma accanto a queste ci sono altri personaggi, forse meno noti all'opinione pubblica mondiale, e che purtroppo hanno condiviso un destino simile. Come l'avvocatessa e attivista per i diritti femminile e delle minoranze, Samira al Nuaimy, 'giustiziata' in pubblico a Mosul, nel nord dell'Iraq, a fine settembre dai carnefici dell'Isis. O le tante donne messe a morte dai miliziani o gruppi di jihadisti in Somalia e nel Sahel al termine di 'processi' sommari.

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