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Diario da Gaza - 27 LUG - Folla a mercato per doni fine Ramadan, panico per bombe

27 LUG - Tregua umanitaria o non tregua ? Mentre oggi Hamas ed Israele si scambiavano accuse reciproche su violazioni di una tregua proposta dalla Croce rossa internazionale, gli abitanti di Gaza hanno rotto gli indugi e si sono presentati in gran numero di fronte agli sportelli delle banche e nei mercati. Domani e' l'Eid el-Fitr, la conclusione del mese di Ramadan, e malgrado i lutti, malgrado le distruzioni, occorrera' comunque celebrare la festa con tavole imbandite e con vestiti nuovi per i bambini. Nonostante la folla nelle strade e gli ingorghi di automobili, il fuoco pero' non e' cessato. E nel pomeriggio nella centrale via al-Wahda, intasata di acquirenti al mercato, si sono avute scene di panico quando in rapida successione si sono verificate due forti esplosioni sui due lati della strada.

Molti hanno allora visto la morte negli occhi. Sul comportamento di Hamas riguardo il cessate il fuoco si sentono nelle strade pareri diversi. C'e' chi invoca a gran voce la distruzione di Israele, mentre molti altri non hanno altro desiderio che la fine immediata delle ostilita' e un ritorno alla calma, nei limiti del possibile. Fra questi ultimi si e' messo in evidenza un ex dirigente di Hamas, Ghazi Hammad, che alla stampa egiziana ha detto che ormai e' necessaria una tregua, costi quel che costi. Le distruzioni sono troppo estese, le sofferenze della popolazione sono indicibili. Hammad e' andato oltre affermando che Hamas deve avere un leader che viva immerso nella popolazione di Gaza, cosi' come a suo tempo fu lo sceicco Ahmed Yassin (ucciso da Israele in un attacco aereo).

Con queste parole ha di fatto criticato il leader politico del movimento Khaled Meshal, che vive nel Qatar. Ma mentre Hamas e' ancora impegnato alla ricerca di nuovi equilibri interni, gli sfollati (sono stimati in 200 mila, su una popolazione di 1,8 milioni di persone) sono allo stremo. Fra questi Mahmud Ibhar, 26 anni, sposato con tre figli, residente a Sajaya, nella via Manzura. Siede su un tappeto, in un'aula di una scuola dove sono stipati 47 membri del suo clan familiare. Aveva una casa confortevole, ben decorata, che adesso e' un cumulo di rovine. Ricorda che gia' nel 2008, in seguito alla operazione Piombo Fuso, la sua famiglia perse la casa e fu costretta a vivere sotto tende. ''Furono 12 mesi di inferno, al sole, sotto la pioggia, con gli allagamenti'' ricorda Mahmud in lacrime. ''Ora cosa mi aspetta ? Le tende ? Ancora ?'' Nello stesso edificio un'altra sfollata di Sajaya - il rione dove domenica e' infuriata una battaglia in cui si sono avuti 100 morti e centinaia di feriti - e' Shama Orukly, di 91 anni.

Il suo nome significa: Candela. Ed in effetti riesce a mantenere malgrado tutto un filo di speranza. Se non per se', almeno per i sei figli, per i numerosi nipoti e per tutti quei bisnipoti di cui nemmeno si ricorda piu' i nomi. Quando e' nata, la prima Guerra mondiale si era conclusa da poco e anche allora Gaza era stata teatro di battaglie fra le truppe turche e quelle inglesi. Lei pero' e' originaria di una zona desertica vicina a Beer Sheva, nel Neghev israeliano. Ricorda bene la Guerra del 1948, in cui fu costretta a fuggire; poi quella del 1956; il 1967, il 1973. E poi, in tempi piu' recenti, i conflitti del 2008, del 2012. Davanti agli occhi le scorrono le immagini di episodi drammatici. ''Quello attuale e' il peggiore'', sentenzia. ''Non mi ricordo proprio che nei conflitti passati ci furono cosi tante distruzioni, cosi' tanta morte''. Ieri non e' tornata a Sajaya. I figli le hanno descritto il rione che appare come terremotato. La sua piccola stanza non esiste piu'. ''E i miei vestiti ?'', ha chiesto. Erano i suoi ricordi: ciascun abito era legato ad un episodio della sua famiglia. ''E i monili antichi ? le pietre preziose ?'' Tutto andato. Nell'apprenderlo Shama si e' asciugata una lacrima. ''Spero almeno - ha concluso - che i miei nipoti avranno una vita migliore''.

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