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di Lorenzo Attianese
ANSA MagazineaMag #22
Ultra' all'ultimo stadio

La recluta dei 4mila violenti

Le 'schegge impazzite' sono tornate a fare gruppo: sono il 10% degli ultrà. Colpa anche delle inadempienze sulle regole Uefa e del degrado degli stadi. Ma negli ultimi anni le cifre su incidenti e feriti sono in calo

Dal rischio retrocessione alla speranza di una promozione. Il calcio italiano torna a sorridere dentro e fuori dagli stadi, dove il numero dei feriti cala sensibilmente. Secondo i dati 2016 forniti dal Ministero degli Interni, negli ultimi quattro anni diminuiscono le violenze. Sono 506 gli incontri - in tutti i campionati - dove si sono registrati episodi con feriti nel periodo dal 2012 al 2016 (-17% rispetto al quadriennio 2007-2011 e -55% rispetto al 2002-2007, periodo che ha preceduto la morte dell'ispettore Raciti).

In diminuzione anche il numero di feriti tra i tifosi, 1.067 (-31% rispetto al quadriennio 2007-2011 e -80% rispetto al 2002-2007), e tra le forze dell'ordine (524, -31% rispetto al quadriennio 2007-2011 e -86% rispetto ai quattro anni ancora precedenti).

Il 2014 è stato invece uno degli anni orribili: l’Italia era tornata all'emergenza di sette anni fa, al periodo di fuoco che portò alla morte di Raciti. Per qualcuno, però, era stato anche l'anno del traguardo: per i violenti, che avevano reclutato quattromila ultrà e in un anno hanno moltiplicato di un terzo il numero dei feriti fuori dagli stadi della serie A.

La morte del tifoso napoletano ucciso nel 2014 dai colpi di pistola di un ex-ultrà romanista, e la presunta trattativa con i supporter partenopei all'interno dello stadio, avevano riportato il mondo del calcio all'anno zero. Ma Ciro Esposito e Genny 'A Carogna sono solo la sveglia folle dal lungo sonno della ragione del mondo del pallone, che dura almeno da qualche anno. E che apre gli occhi su numeri da incubo: nell'ultima stagione calcistica sono aumentati del 37% gli incontri con i feriti nelle serie professionistiche. Solo la Lega Pro è in controtendenza con il - 53%.

La maggior parte degli incidenti si verificavano quindi in serie A, con un aumento del 35% di feriti tra i tifosi e dell'80% tra le forze dell'ordine rispetto al 2013. C'è il 20% in più di denunciati ed il +10% di arrestati. Tutto questo nonostante l'aumento delle forze di polizia, passate da 160mila a 180 mila. Sono 5.040 le persone colpite dal Daspo in tutta Italia, nel 2014 sono state 2.256. Cifre che raccontano un'escalation di violenza che puntava a riportare i numeri alcuni anni fa. Al periodo 'pre-Raciti', quando l'omicidio dell'ispettore capo della polizia durante gli incidenti a Catania segnò il massimo livello del fenomeno. Le cifre sono per fortuna ancora distanti da quel periodo, ma il trend di sangue era in ripresa. Basti pensare che prima del 2007 il bollettino di guerra della domenica era tragico, con incidenti che si verificavano in cinque località diverse contemporaneamente.

Al culmine della follia, la morte di Raciti

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Parla l'ultrà: 'Ora siamo liquidi'

E ora anche gli ultras fanno i conti con la loro crisi interna. L'organizzazione è diventata più liquida e molti gruppi storici hanno perso il carisma dei loro leader. Se prima gli scontri inorgoglivano l'immagine dei 'puri e crudi', ora gli stessi capi non riescono più a gestire tutte le azioni dal loro interno. E devono fare i conti con i cani sciolti. Bastano una decina di schegge impazzite capaci di aggregare meno di un centinaio di persone, per dare il via ai raid, agli scontri con le forze dell'ordine o semplicemente ad infilare le lettere degli striscioni nelle mutande e farli entrare allo stadio.

Il tutto a poche ore dalla partita attraverso Facebook o un semplice giro di sms. Sono loro che spesso assoldano quella massa utile per muoversi in blocco. Secondo l'Osservatorio delle manifestazioni sportive sono ormai il 10% del mondo ultras delle squadre che contano in Italia, poco più di 4mila persone. Anche questo fenomeno ricorda la fine degli anni '90 e i primi del 2000. "Anarchia, frazionamento ed unione dei violenti" sono le parole chiave utilizzate da un ex capo ultrà napoletano della Curva B di vecchia data, che ha visto avvicendarsi le due generazioni di tifo organizzato. "Non c'è più una scuola di pensiero da parte dei rappresentanti delle curve - spiega Genny Esposito, che utilizza uno pseudonimo incrociando i nomi Genny 'A Carogna e Ciro Esposito - Non c'è più una mappa del tifo nella curva. Ci persone che seguono il gruppo, si organizzano e arruolano i giovani tra i violenti per avere 'le spalle coperte'. Dopo gli episodi della finale di Coppa Italia tutti pensano che a comandare a Napoli sia solo Genny 'A Carogna, ma lui comanda solo poche decine di ultrà dei Mastiffs. Non c'è più il controllo. E' come con la nuova camorra, ora che non ci sono punti di riferimento saldi, esistono tanti capi. Troppi e incontrollabili. E una cosa è certa, purtroppo la vicenda Ciro non credo sia conclusa, prepariamoci ad una resa dei conti".


L'omicidio Sandri e l'assalto alle caserme

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Dal Daspo di gruppo alle app, la sottile linea grigia

Il manganello, ormai secondo tutti, non risolve la situazione. Per far fronte all'emergenza l'Osservatorio per le manifestazioni sportive del Viminale ha riunito una task force e avviato delle sperimentazioni, oltre ad annunciare l'inasprimento dei Daspo. C'è già un pacchetto di misure messo a punto - tra i vari dirigenti dal vice direttore Roberto Massucci - con alcune di queste sperimentate durante i play off di serie B e Lega Pro, che hanno dato risultati confortanti. Per esempio il biglietto elettronico, acquistabile in qualsiasi momento anche con una semplice app installata sullo smartphone e attraverso il quale è possibile risalire alla posizione dell'acquirente all'interno dello stadio. Tra le varie normative al vaglio del Viminale c'è il Daspo di gruppo, che prevede la responsabilità oggettiva negli ultrà e punta alla responsabilizzazione del leader di un gruppo violento, il quale avrà un ulteriore sanzione. Il tentativo è disinnescare i gruppi pericolosi, capsula di protezione all'azione illegale. L'interdizione, invece, passa dai cinque agli otto anni.

Nuovi provvedimenti dello Stato, ma anche normative Uefa disattese dalle società di calcio. Come il Supporter Liaison Office (Slo), una struttura per il dialogo con i tifosi dichiarata dal 2013 obbligatoria dalla Federazione internazionale, ma che in Italia non funziona, è quasi inesistente e non svolge alcun tipo di attività. Per ora lo Slo è solo un nome su un pezzo di carta: il risultato è che le società restano ostaggio di alcune frange delle tifoserie. Per alcuni club, che evitano così di spendere ulteriori risorse, è meglio mantenere i rapporti con poche frange di tifosi, le stesse che fino a ieri controllavano la moltitudine. E al fronte, troppo spesso, vengono mandati i calciatori. Proprio come nella finale di Coppa Italia, quando Hamsik fu costretto ad avvicinarsi a Genny 'A Carogna per rassicurarlo.

Per Lorenzo Contucci, conosciuto come avvocato degli ultrà e legale dello stesso Gennaro Di Tommaso, “siamo 20 anni indietro rispetto a certe realtà come la Germania e l'Inghilterra. Lo Slo non funziona, ma anche la tessera del tifoso è stata un fallimento. Non è con la repressione che si risolvono le cose: se aprissero di nuovo le trasferte ai tifosi si avrebbero le stesse criticità - prosegue - . E se passerà la norma del Daspo ai capi ultrà incolpevoli, forse nessuno salirà sul vetro. Ma il coro partirà lo stesso. Inoltre eliminare il folklore, come il divieto degli striscioni allo stadio, elimina la possibilità di esprimere la parte lecita del tifo. E c'è bisogno di maggiore organizzazione nel trasporto dei tifosi in trasferta, senza esasperare i tifosi. Nel tifo esiste una parte nera, una grigia e una bianca. L'importante è non far innervosire la parte grigia”.


Ciro Esposito, quel giorno di violenza

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L'ultimo stadio

Negli stadi ci sono i tifosi, nelle gabbie gli animali. E gli stadi assomigliano sempre di più a una gabbia. Fili spinati, vetri rotti, coperture crollate, cancelli arrugginiti. Il degrado regna sul decoro. Anche per questo "riportare le famiglie allo stadio" è diventato il mantra fallito del calcio italiano. Molte strutture sono indietro di 50 anni. Escludendo l'eccellenza del nuovo Juventus Stadium di Torino, le situazioni più gravi riguardano gli impianti sportivi di Bergamo, Pisa, Bari (definito ormai un "piccolo lager" per le sue condizioni attuali, nonostante fosse stato progettato da Renzo Piano), Palermo, Napoli (dove il restyling del 2010 è stato inefficace), Bologna (con strutture ancora di epoca fascista), Cagliari. Non comunicano sicurezza. E l'impressione delle persone è quella di essere tenuti come bestie ammassate: un esempio è il settore ospiti del San Paolo di Napoli. L'alibi, per i club, è che gli stadi non sono di proprietà delle società sportive ma di altri enti: una risposta direttamente proporzionale alla preoccupazione delle società per i propri spettatori. Eppure il calcio produce in Italia, in termini di Pil, cifre paragonabili a quelle della Fiat. Ma se lo stato di salute delle strutture continua ad incancrenirsi, secondo l'Osservatorio, sarà inevitabile la chiusura di alcuni impianti entro i prossimi due anni.

La nuova fotografia del tifo in Italia è un selfie che il calcio appende in fondo alla classifica europea, vicina ai Paesi dell'Est del Continente. Anche la Francia è stata recentemente costretta a vietare alcune trasferte e la Germania è alle prese da tempo con lo stesso fenomeno, di proporzioni ancora maggiori. Gli incidenti, però, si verificano soprattutto nei pub durante i dopopartita e non nei pressi delle strutture sportive. Altre dinamiche di certo non legate al degrado. La ricetta dei tedeschi è tecnologia e organizzazione: videosorveglianza e strutture moderne dimensionate ai rischi. Basti pensare che, nonostante tutto, la Germania raggiunge una media dell'80% di riempimento degli stadi. In Italia, invece, siamo scesi al 40%. Sempre meno, sempre più violenti. E senza compromessi. "Vogliono ridurci ai tifosi che si vedono ai Mondiali, quelli con quei cappelli da giullare. I pagliacci", dicono i nuovi ultrà. L'alternativa è condividere gli spalti con gli uomini cannone e i lanciatori di coltelli. Quelli che uccidono.