Sono passati più di 25 anni dalla morte di Andrea Pazienza, ma mai come adesso il fumetto italiano sembra essere in grado di raccogliere i frutti dell’eredità dell’autore più rivoluzionario del panorama tricolore. Era il 1977 quando apparve il suo primo lavoro e fu un fulmine a ciel sereno. In un settore ingessato e statico, dominato dalle lontane praterie di Tex e dalle foreste pluviali di Zagor, in cui l’unica concessione alla modernità stava arrivando dalla rivista Linus, irrompe Pentothal, il primo personaggio uscito dalla matita di Pazienza, allora appena ventunenne.
Autobiografico fino quasi al narcisismo, Pentothal, narrando le rivolte studentesche della Bologna di quegli anni, è una linea di separazione fra il fumetto com’era e come sarebbe stato. Con un frullato incredibile di stili, dagli adorati Moebius e Magnus, i particolari impossibili di Jacovitti, passando per gli animali di Walt Disney mixati nella pop-art di Andy Warhol e nella fisionomia sgraziata di Munch, Pazienza per la prima volta in Italia separa nettamente il racconto disegnato da quello parlato, quest’ultimo ricco di neologismi, slang colloquiali e volontarie sgrammaticature.
Nel fumetto fanno il loro debutto la droga pesante (fino ad allora il Pentothal lo usava Diabolik, ma solo per stordire le vittime dei suoi furti), i manganelli della polizia, le molotov dei manifestanti, ma anche, con l’irriverenza tipica di Pazienza unita ad un rispetto che sfociava nell’affetto, un presidente della Repubblica. Un Sandro Pertini tanto divertito dalle copertine e dalle storie di Pazienza da telefonare di persona alla redazione de Il Male per chiederne una copia e invitare lo stesso autore a pranzo al Quirinale. Un pranzo a cui Pazienza non partecipò mai, portato via prima del tempo dal suo stesso male di vivere.
Ma la rivoluzione innescata dall’unica vera rockstar del fumetto italiano non si è più fermata. Da Tanino Liberatore, autore di quel Rank Xerox padre putativo del Terminator di Schwarzenegger, in poi, il fumetto italiano ha saputo di volta in volta rinnovarsi e crescere di qualità, fino ad arrivare ai giorni nostri dove la popolarità degli autori è in costante crescita. Da Leo Ortolani, creatore di Rat-Man, parodia fantozziana di Batman a cui la Rai ha dedicato un cartone animato, a Massimo Carnevale, copertinista dal gusto eccelso e ormai di fama mondiale grazie ai lavori per le case americane, fino alle nuove leve di autori, fra cui spicca Roberto Recchioni, affermatosi su piccoli capolavori nostrani come John Doe e Detective Dante e ora chiamato a rivitalizzare storie e vendite di Dylan Dog, oltre che autore della prima serie a fumetti in formato Bonelli interamente a colori. Fra questi, che fra loro costituiscono una sorta di piccola Dead Poets Society, ne scegliamo solo alcuni dei suoi figli più o meno legittimi, senza nulla togliere alla qualità degli altri, con l’invito di andarli a scoprire tutti.