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La grande cattedrale nel deserto

La grande cattedrale nel deserto

22 febbraio 2018, 21:08

Redazione ANSA

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Antonios e Khaled fanno gli onori di casa nel prefabbricato in lamiera, dove si fanno le riunioni operative, si sosta per un caffè alla turca, si vestono elmetti e abiti da lavoro. Fuori un cantiere con 3mila operai che lavorano incessantemente su due turni al giorno per tirare su la più grande cattedrale cristiana del Medio Oriente.

Siamo in quella che sarà la Nuova Cairo, la futura città amministrativa a una quarantina di chilometri dalla attuale capitale egiziana. Al momento qua e là solo cantieri sparsi nel mezzo del deserto rosso. Ma la "Natività di Cristo", così si chiama la nuova imponente chiesa, sara' una cattedrale nel deserto solo in senso geografico. Nonostante le gru e le trivelle, qui già si celebra messa. L'inaugurazione c'è stata per il Natale dei Copti, la notte dello scorso 6 gennaio, nella messa presieduta da Papa Tawadros che ha fatto il solenne ingresso nella parte già agibile con il presidente Al Sisi. Poi ogni venerdì (giorno festivo per uffici e scuole) viene una parrocchia a turno.

Antonios e Khaled non hanno neanche 30 anni, il primo è un ingegnere cristiano, l'altro un maggiore dell'esercito, musulmano. Parlano lingue straniere, sanno muoversi tra slide e computer, sono un po' i 'pierre' di questa grande opera voluta da Al Sisi e affidata all'impresa di costruzioni più importante dell'area, Orascom. "Inimmaginabile solo fino a qualche tempo fa", sussurra il frate francescano che accompagna i giornalisti nella missione in Egitto della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre.

Qui si lavora fianco a fianco, cristiani e musulmani, oltre dodici ore al giorno. Si mangia, si parla, si prega. Ognuno secondo il suo credo. "E' un lavoro complesso, le indicazioni sono quelle di completare l'opera, ora pronta al 40 per cento, entro l'anno, i tempi sono abbastanza stretti e abbiamo utilizzato tecniche accelerate, per esempio in alcune parti si tira su col cemento prefabbricato", dice il giovane professionista snocciolando i numeri: 15 ettari di terreno nel quale il luogo di culto prendera' oltre 10mila metri quadri, la cupola larga 40 metri, un campanile alto 65 metri; si realizzerà anche, la residenza del Papa copto, i parcheggi, i locali di aggregazione; 8mila posti in chiesa. Un'opera 'faraonica'.

"Il presidente - spiega Khaled, il maggiore dell'esercito - ci ha dato disposizione di agevolare i lavori, rimuovere gli ostacoli burocratici, dare la massima collaborazione alle ditte locali". E per questo che i caschi blu degli operai si mescolano alle divise miliari. I primi lavorano, i secondi sopraintendono e garantiscono la sicurezza. Stesso schema per la ricostruzione di oltre sessanta chiese che erano state incendiate dai fondamentalisti islamici nel 2013. L'esercito arriva e in tempi rapidi cerca di cancellare i segni dell'odio, della persecuzione alla comunità cristiana, una minoranza di circa 12 milioni di egiziani. E "se la chiesa dell'Immacolata Concezione a Suez e' stata restituita ai francescani nel giro di dieci mesi, c'e' anche il caso - riferiscono ai giornalisti italiani - della cattedrale di San Pietro al Cairo, colpita da un attentato dove hanno perso la vita 29 persone, che e' stata ripristinata dopo tre settimane". Il 16 dicembre 2016 l'attacco e il 7 gennaio 2017 già la messa di Natale. "Mi ricordo gli operai commossi dall'accaduto, musulmani e cristiani, che hanno lasciato il loro lavoro e sono venuti da ogni parte del Paese per lavorare 24 ore su 24, anche la notte", racconta Tadros Adel un altro ingegnere cristiano.

I CRISTIANI E AL SISI

Non è difficile comprendere perché la chiesa locale, in Egitto, sia 'schierata' apertamente per l'attuale presidente. "Nessuno gli aveva chiesto di costruire la più grande cattedrale del Medio Oriente. Lo ha fatto e basta. Da noi c'è un modo dire per indicare una persona onesta: è 'un figlio di buona gente'. E io penso che Al Sisi lo sia", dice mons. Botros, il vescovo copto cattolico di Minia, città del Sud dove i cristiani sono il 40% ma comunque sempre in trincea perche' e' da qui che arrivano i leader dei Salafiti e dei Fratelli Musulmani. I patriarchi parlano chiaro. Papa Tawadros II, leader dei copto-ortodossi dice che "Al Sisi ha lavorato molto su due versanti, quello della lotta al terrorismo e quello della lotta per lo sviluppo. Ringrazio Dio che stiamo facendo passi significativi e già ci sono delle cose realizzate". Anche il patriarca copto cattolico, mons. Ibrahim Isaac Sidrak, conferma: "Ora le cose sembrano andare meglio, soprattutto per l'economia e la sicurezza. Aspettiamo di vedere le nuove elezioni. Certo, il timore di essere colpiti resta". Al seminario di francescano di Gyza, la città delle piramidi, padre Kamal, il frate 'guardiano', dice: "Perseguitati? Discriminati? Direi di no se guardiamo al passato. Ci sono stati momenti in cui non avevamo davvero nessun diritto, neanche quello di camminare per strada".

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