A San Pietro, la chiesa che un anno fa ha visto morire 29 persone, quasi tutte giovani donne, la gente e' tornata subito a pregare. Su una colonna i segni dell'esplosione, per non dimenticare, e nel chiostro le gigantografie delle vittime.
Tra loro c’era Habib Abdallah, aveva 48 anni, era il custode della chiesa. Ha lasciato tre figli e una moglie, Mariam, che ora porta la foto del marito incastonata nel ciondolo della collanina. “Siamo pronti, sappiamo che questo può accadere, e a noi è accaduto”. E se le chiedi se è possibile perdonare, risponde senza esitazione: “Sì, non dimentichiamoci che siamo cristiani”.
Ad Alessandria incontriamo un’altra vedova, Gihen Gerges Basilli. Lei ha perso il marito nella Chiesa di San Marco nell’attentato della Domenica delle Palme, un anno fa. Ora stringe per mano i due gemellini di 8 anni, Fedi e Bishoi, e ringrazia Dio perché quel giorno anche uno dei due piccoli, che scorrazzava fuori la chiesa, ha rischiato di morire nell’attentato. E invece è lì. Paura? Ci pensa, sospira e ammette: “Sì, ho paura, ma continua ad andare in chiesa”.
Dal Nord al Sud, fino a Minia, dove incontriamo Maikal. Il 26 maggio scorso ha raccolto suo padre nell’obitorio dell’ospedale cittadino. Un colpo in fronte come tanti di quelli uccisi mentre andavano in pellegrinaggio al santuario di San Samuele. Ma lui fiero risponde: “No, non ho paura”. Continua a vivere nella casa a due piani nella periferia della città e ha preso le redini della ditta e anche della sua grande famiglia.
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