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Lo scontro con i curdi

Lo scontro con i curdi

27 marzo 2017, 18:25

Redazione ANSA

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Quattro anni fa, le oceaniche celebrazioni di piazza per il Capodanno curdo, il Newroz, avevano illuso sulla fine di un conflitto trentennale. Con uno storico messaggio dal carcere, Abdullah Ocalan, il leader del Pkk detenuto dal 1999 nell’isola-prigione di Imrali, al largo di Istanbul, invitava i curdi a deporre le armi e trattare con Ankara. Qualche giorno fa, a Diyarbakir, cuore del sud-est della Turchia, il Newroz ha richiamato ancora una volta molte decine di migliaia di persone. Ma stavolta, nessuno credeva più alla pace. Dopo lunghe trattative segrete e poi ufficiali, con il diretto coinvolgimento di membri del governo, nell’estate di due anni fa Erdogan ha bloccato tutto, rilanciando la sua guerra totale al Pkk. Una svolta giunta proprio all’indomani delle elezioni del giugno 2015, in cui perse la maggioranza assoluta. Da allora, il sud-est curdo è piombato nel conflitto più duro dai primi anni Novanta, quando l’esercito dava fuoco ai villaggi e lo stato d’emergenza era la regola. Parlano i numeri: secondo l’International Crisis Group, il ritorno alle armi ha provocato almeno 2.623 morti, tra cui 391 vittime civili accertate. I combattenti del Pkk uccisi sono 1.123 (per il governo, dieci volte tanto), a fronte di 893 morti tra le forze di sicurezza turche, oltre a 219 vittime di “affiliazione incerta”. Per l’Onu, che ha pubblicato un rapporto a inizio marzo, ci sono stati tra 355 mila e mezzo milione di sfollati da 30 città, molte delle quali rimaste per mesi sotto coprifuoco totale. Le cifre di una guerra. 

Tace invece la politica, costretta al silenzio dietro le sbarre con accuse di “terrorismo” per presunti legami con il Pkk. Anche in questo, un ritorno indietro di vent’anni. Dopo aver portato per la prima volta un partito filo-curdo in Parlamento, i leader dell’Hdp, Selahattin Demirtas e Figen Yuksekdag, sono finiti in galera, come un’altra decina di deputati curdi, e rischiano l’ergastolo. Arresti resi possibile dall’abolizione a maggio dell’immunità di 154 parlamentari sotto inchiesta, proposta dall’Akp di Erdogan e passata grazie ai voti decisivi dell’opposizione socialdemocratica Chp. Human Rights Watch l’ha definito un “furto” della rappresentanza ai 5 milioni di elettori dell’Hdp.

Dopo il fallito golpe, migliaia di altri membri del partito filo-curdo sono stati arrestati, facendo leva su quella legge anti-terrorismo che Ankara si rifiuta di ammorbidire, come preteso invece da Bruxelles per concedere la liberalizzazione dei visti per i turchi in Europa. Decine di sindaci sono stati rimossi e oltre 80 Comuni commissariati. Un conflitto non solo interno: in Siria, la Turchia sta tentando in tutti i modi di frenare la creazione di un’entità curda nel nord, accusando il Pyd di legami diretti con il Pkk. Sforzi finora frustrati: prima Washington e poi Mosca dei curdi si sono serviti a piene mani, per combattere l’Isis o rafforzare la loro presenza nella regione. E, al momento, non sembrano disposti ad abbandonarli.

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