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La sfida del ‘super-presidenzialismo’

La sfida del ‘super-presidenzialismo’

27 marzo 2017, 18:44

Redazione ANSA

ANSACheck

Turchia © ANSA/AP

Turchia © ANSA/AP
Turchia © ANSA/AP

È così che la Turchia arriva al voto più importante della sua storia moderna, quello che può cambiarne un sistema parlamentare in vigore da quasi un secolo e aprire la strada a una permanenza al potere di Erdogan anche fino al 2034. Per il presidente, è l’unico modo per sconfiggere le minacce alla stabilità del Paese e proseguire la crescita economica, che sotto la sua guida ha portato il Paese saldamente dentro il G20. Per i suoi oppositori, il colpo finale alla barcollante democrazia turca.


Il passaggio al presidenzialismo era da anni un obiettivo di Erdogan. Dopo l’ennesima vittoria elettorale nel 2011, promise che quella sarebbe stata la volta buona per la riforma. Ma in Parlamento non riuscì a trovare il consenso necessario. Tre anni dopo, scelse comunque di abbandonare la guida del governo correre per la carica di presidente, eletto per la prima volta direttamente dal popolo, ma ancora con i vecchi poteri: essenzialmente, un ruolo di rappresentanza e garanza costituzionale. Che però ha interpretato in modo estensivo, fino a definirsi un presidente esecutivo de facto, anche grazie alla presenza di un governo sempre fedele guidato dal suo Akp, senza gli ostacoli di una coabitazione. Ora, quell’autorità la vuola anche di diritto, blindando la sua posizione per molti degli anni a venire.


La riforma concentra il potere esecutivo nelle mani del presidente, abolendo la figura del primo ministro. Il capo dello stato, eletto direttamente, nomina e revoca non solo i ministri, ma anche alti funzionari dello Stato, molti dei giudici più importanti, diplomatici e rettori universitari. Non solo: potrà decretare lo stato d’emergenza, emanare decreti e sciogliere il Parlamento (che a sua volta potrà sciogliersi con un voto dei 2/3). Da qui, le accuse di un’eccessiva concentrazione di poteri, che non garantisce l’equilibrio di pesi e contrappesi di una democrazia liberale. A muoverle, anche la Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa. In ogni caso, sarebbe uno sconvolgimento del sistema. Che ne diranno alla fine i turchi?

 

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