La 'battaglia' per la riabilitazione di Silvio Ortis e degli altri prende il via con una richiesta di pensione di guerra nel 1933. "La mia prozia vendette il suo campo - racconta Flora - per pagare un avvocato che non fece nulla". Nulla è dovuto a chi muore con disonore. Nel 1988 Flora scrisse una lettera-appello al settimanale diocesano La Vita Cattolica. E a sorpresa arrivarono conferme: "Costanzute" (Costanzina), una donna di Paluzza, emigrata all'estero, raccontò di un anziano mezzo matto che venne lì in vacanza nel 1928 e mormorava di aver condannato i quattro, e se ne vergognava. Forse era quel Felice Porta firmatario della sentenza. Altri racconti del pievano dell'epoca vennero raccolti da padre Antonio Bellina, "Pre Belìne", storico esponente della Chiesa carnica.
La via giudiziaria è però sempre stata un fallimento, e una beffa. A norma dell'articolo 683 del codice di procedura penale militare, l'istanza di riabilitazione infatti può venire presentata soltanto dal "diretto interessato", un'assurdità nel caso di una morte per fucilazione. Vani i tentativi di una riforma dell'articolo, respinta l'istanza del 2010 presentata alla Corte d'Appello militare dall'allora ministro Ignazio La Russa. Senza contare qualche commento contrario di esponenti isolati delle associazioni d'arma, che avevano bollato le testimonianze come "generiche" o "chiacchiere da donne".
Solo gli abitanti del luogo, in segno di personale rifiuto dell'evidenza processuale, promossero nel 1996 l'erezione del cippo commemorativo. Le vie di due frazioni di Paluzza e Cercivento sono state intitolate a Ortis, una, a Timau, alla memoria di Matiz. Segni di una orgogliosa rivendicazione della verità, che sembra confinata all'ambito locale.
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