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Responsabilità editoriale di Advisor
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Il successo dei piani individuali di risparmio a lungo termine (meglio noti come PIR) è stato giustamente celebrato da tutti in questi mesi. Per la maggior parte degli osservatori è oggettivo che questa iniziativa, richiesta da Assogestioni già nel 2011 e nata ufficialmente a gennaio 2017, rappresenti un primo passo verso un maggior riconoscimento dell’importanza del risparmio, in un paese dove spesso il risparmio è stato definito come “l'oro nero dell'Italia”.
E sicuramente in questi dodici mesi abbiamo assistito a una lunga corsa da parte di molte società di gestione del risparmio (e non solo) al lancio di strumenti "PIR compliant". Una conferma della validità di un'iniziativa che, ricordiamolo fin da subito, si ispira anche a diverse best practice internazionali.
Dopo un anno di vita sono sotto gli occhi di tutti i numeri di raccolta (circa 7,5 miliardi da gennaio a settembre 2017, fonte Assogestioni). Passato l'entusiasmo iniziale è però doveroso fermarsi per tirare un bilancio dei PIR e cercare di andare oltre la semplice definizione (un “contenitore fiscale” all’interno del quale i risparmiatori possono collocare qualsiasi tipologia di strumento finanziario, nel rispetto di determinati vincoli): è il momento di individuare i reali vantaggi e i reali rischi che si nascondono dietro a questi strumenti. Insomma è il momento di sfatare i falsi miti che hanno accompagnato, nel bene e nel male, questi strumenti, per conoscere nel dettaglio i PIR. Per farlo ci siamo affidati a due protagonisti del mondo del risparmio gestito che si sono confrontati a viso aperto sul presente e sul futuro dei PIR: Federico Marzi, head of business development di Fideuram Investimenti, e Simone Bini Smaghi, vice direttore generale Arca Fondi SGR.
I due manager non hanno avuto dubbi nel sostenere che tra i falsi miti ci sono: l'idea che siano uno strumento previdenziale e la convinzione che siano strumenti poco liquidi. Ma non è tutto qui. Ecco quali altri miti sono stati sfatati:
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