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Responsabilità editoriale di Advisor
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Il factor investing - la costruzione di portafogli con esposizione a fattori fondamentali, macroeconomici o statistici - sebbene solo recentemente sia diventata pratica comune fra gli asset manager, trae le sue origini in alcuni pilastri dell’economia finanziaria sviluppati più di trent’anni fa. Rappresenta una metodologia d’investimento che si sta facendo strada sempre più spesso all’interno dei prodotti d’investimento. In realtà le teorie sottostanti sono tutt’altro che recenti. Le radici di queste metodologie partono dagli anni settanta e nel tempo sono state affinate cercando di trovare quei fattori che fossero più consistenti e razionali.
Il recente interesse per queste metodologie è dato dal fatto che si basano su criteri relativamente semplici ed economicamente sensati, per sviluppare queste tecniche gestionali si utilizzano prevalentemente criteri quantitativi, che necessitano di un buon set di dati. Con la crescita dell’interesse generale degli investitori e della ricerca sulle strategie fattoriali, è aumentata anche la domanda di nuovi prodotti fattoriali. Si tratta però di una domanda ancora in buona parte insoddisfatta. Come dimostrano i risultati dell’Invesco Global Factor Investing Study 2017, solamente un terzo degli intervistati dichiara di riuscire attualmente ad investire nelle strategie fattoriali preferite. I due terzi stanno ancora cercando di implementare la propria strategia preferita.
Non è quindi certo un caso che nel concreto gli intervistati rimangano ancorati sulle strategie azionarie, che però così sovrespongono rispetto alla loro struttura preferita. Il risultato di questa situazione? La presenza negli investitori di una domanda aggiuntiva in soluzioni multi-asset, multifattoriali e a reddito fisso. Gli intervistati osservano che i comitati di governance ed i comitati d’investimento hanno ormai familiarità con gli approcci fattoriali utilizzati nelle allocazioni azionarie, ma sono ancora nella fase di apprendimento per quanto riguarda gli approcci fattoriali meno noti e le nuove classi di asset. Inoltre, l'internalizzazione dei mandati azionari fondamentali dettata da timori sul fronte del rischio/rendimento e l’adozione parallela di strategie passive hanno in alcuni casi rimandato la valutazione delle strategie fattoriali.
Certo, ogni nuova strategia porta con sé ostacoli alla sua adozione, ma un numero sufficiente di investitori ritiene che saranno superati. Gli intervistati, in particolare, hanno identificato una domanda ancora non soddisfatta di strategie fattoriali a reddito fisso, sia a sé stanti sia come componenti per la costruzione di portafogli. In sostanza la maggior parte di loro ritiene che la teoria del factor investing possa essere applicato al reddito fisso, ma solamente un terzo sta attualmente utilizzando approcci fattoriali in portafogli obbligazionari. Ma qualcosa potrebbe molto presto cambiare. Con il progressivo passaggio delle banche centrali dalle misure di quantitative easing al tapering, gli investitori si attendono una elevata volatilità nei portafogli obbligazionari, nonostante il ritorno delle allocazioni ai livelli precedenti la crisi finanziaria globale. Questo, secondo Invesco, potrebbe favorire la domanda di strategie fattoriali a reddito fisso nel tentativo di ridurre il rischio e accrescere la diversificazione ed i risultati.
Attenzione però, vi sono ancora delle barriere all’adozione delle strategie fattoriali a reddito fisso. Quali? "Gli investitori citano l’assenza di ricerca accademica, la scarsità di strategie e prodotti dotati della filosofia e del track record richiesti, e timori per la mancanza di esperienza e referenze nell’implementazione" spiega Invesco nell'indagine. "Detto questo, va comunque subito sottolineato che il feedback della nostra indagine è stato positivo, ed è parere diffuso che i timori relativi alla teoria, al prodotto e all’esperienza verranno meno nel tempo. Molti degli ostacoli nella governance per l’adozione del factor investing nel reddito fisso sono già stati superati nell’adozione dei prodotti fattoriali azionari. Diversi timori riguardanti specificamente i fattori nel reddito fisso (ad esempio nessuna evidenza di fattori, disponibilità di prodotti, track record) sono uguali a quelli sorti con l’introduzione delle strategie fattoriali azionarie" prosegue lo studio.
Questi temi sono stati superati dal settore attraverso continui investimenti nella ricerca e nello sviluppo di prodotti, e lo stesso si prevede per i fattori a reddito fisso. In ogni caso gli investitori sono anche già pronti ad allargare il proprio orizzonte. "Abbiamo riscontrato chiare evidenze dell’ambizione nel più lungo termine di costruire portafogli di tipo fattoriale attraverso strategie multi-asset multifattoriali" sottolinea Invesco. "I grandi investitori sovrani - continua - e i fondi pensione sono stati tra i pionieri del factor investing, con internalizzazione delle competenze per realizzare attività di ricerca sui fattori e sulle sue possibili applicazioni nella costruzione di portafogli. Tali investitori favoriscono spesso un’allocazione a parità di rischio utilizzando fattori macroeconomici (inflazione, tassi, azioni) per individuare e sfruttare fonti di rischio e rendimento nel portafoglio attraverso diverse classi di attivi. Man mano che aumentano le prove del successo nell’implementazione di strategie sulle singole asset class, un numero crescente di investitori istituzionali sta valutando la transizione da un approccio tradizionale ad una costruzione dei portafogli attraverso i fattori".
L’idea trova giustificazione nella convinzione che si possa diversificare meglio distribuendo i rischi in modo più omogeneo nel portafoglio, rendendo disponibile una parte maggiore del budget di rischio per investire in approcci alpha con un portafoglio non correlato e market-neutral. In pochi, tuttavia, hanno adottato un approccio fattoriale nella costruzione dei portafogli, anche se un terzo degli intervistati ha espresso l’intenzione di muoversi in questa direzione, sottolineando in alcuni casi la rilevanza della loro esperienza nelle strategie azionarie multifattoriali.
Questo trend non si limita solamente agli investitori più grandi: lo studio di Invesco rileva che l'interesse per un approccio fattoriale a livello di portafoglio si è esteso anche agli istituti di piccole e medie dimensioni, facendo emergere una solida domanda di prodotti multi-asset multifattoriali, particolarmente nei mercati istituzionali europei e nordamericani. Gli investitori istituzionali più piccoli ricercano, infatti, un’ampia gamma di esposizioni ad asset class di attivi e fattori nell’ambito di un singolo prodotti, per mantenere una composizione di attivo diversificata in grado di far fronte alle passività di lungo termine. Gli intervistati, inoltre, ritengono che un’applicazione regolare del factor investing possa produrre migliori risultati nel lungo termine, attraverso l’esposizione a fonti più diversificate di premi al rischio.
"Le barriere all’adozione di strategie multi-asset multifattoriali sono coerenti con la prima fase della loro evoluzione; le obiezioni sono minori ma più generali. Ad esempio, i grandi investitori istituzionali che sono scettici devono ancora convincersi della validità della teoria sottostante. Nel caso invece degli investitori di piccole e medie dimensioni e del segmento retail, viene a galla che sono in genere più preoccupati per l’attuale offerta di prodotti, per la complessità e governance dei prodotti multi-asset multifattoriali e per la scarsa chiarezza relativamente all’esposizione a derivati e leva finanziaria. Temi che, in effetti, dominano il campo delle obiezioni" conclude Invesco.
Testo a cura dalla redazione di ADVISOR e Invesco, tratto dalla guida "Factor Investing", pubblicata in allegato al numero di ADVISOR di aprile 2018.
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