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Almaviva, terzo Natale senza lavoro e flop del piano ricollocazione

Su 1.666 esuberi solo 127 a tempo indeterminato, ora scade Naspi

(di Maria Chiara Furlò)

Sono trascorsi due anni da quando, proprio a ridosso delle feste, si consumò il più grande licenziamento collettivo italiano degli ultimi 25 anni. Da quel 22 dicembre 2016, però, non molto è cambiato nella vita della maggior parte dei 1.666 ex lavoratori del call center Almaviva di Roma. In tanti, infatti, hanno appena passato il loro terzo Natale senza lavoro. “Siamo in grossa difficoltà, nessuno ci segue più, nessuno ci ricorda più, nessuno ci vuole materialmente più”. Si sfoga così Vincenzo Pellegrini, che non è ancora riuscito a trovare lavoro e vive con la Naspi (l’indennità di disoccupazione), ma anche questa tra pochi mesi scadrà definitivamente.

Vincenzo fa parte di quei lavoratori che hanno aderito sin da subito al piano di ricollocazione lanciato dall'Anpal e della Regione Lazio. Un progetto partito a meno di due mesi dal licenziamento collettivo con bonus occupazionali, incentivi all'auto-imprenditoria, assegno di ricollocazione e interventi di politica attiva. "Partiamo da una situazione molto complessa – dichiarò il presidente dell’Anpal, Maurizio Del Conte, quando a febbraio 2017 fu avviato il piano - ma proprio questo dovrà essere il senso dei nuovi servizi per il lavoro: offrire soluzioni di prospettiva, consapevoli che il mero ricorso ai sussidi può alleviare nel breve i problemi ma non risolverli definitivamente. In questo momento, dobbiamo farci carico della persona e accompagnarla verso una nuova occupazione. La collaborazione inter-istituzionale è un fattore determinante verso la soluzione di crisi così complesse".

A distanza di quasi due anni da quell’annuncio, però, 1.049 ex operatori del call center romano sono ancora disoccupati (il 65%) e solo in 127 sono stati ricollocati con un contratto a tempo indeterminato. Dai dati forniti dall’Anpal – aggiornati al 15 novembre 2018 – emerge che dei 1.666 lavoratori in esubero, 1.627 hanno aderito al piano di ricollocazione (per 17 di questi è stato successivamente annullato il licenziamento. Così, il bacino di riferimento definitivo del piano è diventato di 1.610 lavoratori). Ad oggi, ufficialmente gli occupati sono 526, circa il 33% del bacino totale. Di questi, 276 hanno un contratto a tempo indeterminato, ma più della metà (esattamente in 149) fa parte di un gruppo reintegrato in Almaviva Contact Spa a seguito di un ricorso. A questi, si aggiungono 35 lavoratori (pari al 2% dei licenziati) che hanno aderito a percorsi di autoimprenditorialità. Fra questi c’è Sabrina Linzi, che dopo il licenziamento ha deciso di aprire un bar. “Purtroppo ho seguito quel maledettissimo percorso. Non solo non sono stata aiutata dal punto di vista pratico – ha raccontato - ma pur avendo presentato in tempo tutta la documentazione non sono riuscita subito a rientrare tra i progetti approvati perché in Regione era stata smarrita la mia pratica. Ho perso tempo e denaro e nessuno mi ha aiutata”.

Fra i licenziati della sede romana di Almaviva c’è anche Raffaele Di Leva, 65 anni, “ero nella parte del progetto che aiutava ad andare in pensione anticipata, ma non è andata bene. Non mi è sembrato che al centro per l’impiego cercassero più di tanto di darmi una mano – ha raccontato – anzi, all’inizio mi dissero che sarei potuto rientrare nei possibili pensionamenti anticipati agevolati, ma quando ho inviato tutta la documentazione all’Inps mi è stato comunicato che invece non avevo i requisiti adatti”. Raffaele oggi un lavoro ce l’ha, ma l’ha trovato grazie a un amico che gli ha dato una mano. “Ho perso sette mesi dietro al piano di ricollocazione, se non l’avessi fatto mi sarei mosso prima e magari avrei risolto diversamente”, ha aggiunto.

Per Alessandra De Joan, 54 anni e un figlio di 21 all’università, invece le cose sono ancora tutte ferme dalla fine di dicembre 2016. In quei giorni, Almaviva le pagò una tredicesima di 350 euro (a fronte di uno stipendio che regolarmente arrivava fino a 750 euro) , oggi prende 348 euro di Naspi ma a gennaio resterà anche senza quest’unico sussidio. “Ho aderito anche io al piano di ricollocazione e ogni mese, per 2 anni, hanno voluto che andassi al centro per l’impiego per dimostrare che fossi disoccupata – spiega -Ricordo benissimo l’impiegata che mi diceva sempre: ma come è possibile che una persona come te non riesca a trovare nulla?”. Grazie al progetto di ricollocazione Anpal-Regione Lazio, Alessandra ha partecipato ai corsi di formazione e fatto un unico colloquio, un anno fa, presso un call center concorrente di Almaviva ma non è stata mai richiamata. “Il progetto è stato una presa in giro, anche per chi ha scelto il percorso dell’autoimprenditorialità. Una fregatura totale – ha continuato - le uniche soddisfazioni mi arrivano da mio figlio, studia Lettere e ha la media del 30. Ora è in Erasmus in Spagna e si mantiene grazie alla borsa di studio. Per il resto, nessuno ci ha aiutato, nessuno…solo promesse”.

Interpellato sul caso Almaviva e sulla attuale situazione dei lavoratori licenziati, l’assessore regionale al lavoro, nuovi diritti e politiche per la ricostruzione, Claudio Di Berardino (per anni alla guida della Cgil di Roma e del Lazio), ha risposto: “questa cosa è importante, noi ci stiamo lavorando proprio in queste ore. Quando avremo finito offriremo un quadro di dati, con le cose vere, sia quelle belle che quelle brutte”.

La solitudine e il senso di abbandono sono gli stati d’animo che più accomunano questi lavoratori. “I sindacati? Dopo i licenziamenti sono spariti, abbandonando le persone a loro stesse – ha detto Vincenzo Pellegrini - C’erano tante persone che avrebbero avuto bisogno d’aiuto anche per presentare la domanda di Naspi, ma sono spariti. Solo ora qualcuno ci sta aiutando con la gestione delle cause”. È del 19 dicembre, infatti, un’ultima brutta notizia per 600 ex dipendenti di Almaviva a cui il licenziamento è stato confermato dal Tribunale di Roma (che li ha condannati a pagare le spese processuali).

I sindacati delle tlc, dal canto loro, continuano a denunciare come il comparto dei call center sia uno dei più esposti ai problemi della delocalizzazione e della concorrenza sleale sul costo del lavoro e da mesi chiedono un incontro al ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, anche per affrontare questo tema. “Questi fattori, in un settore già stremato dalla crisi, hanno provocato e stanno provocando gravi crisi occupazionali che non possono e non devono ripetersi”, si legge in una nota diffusa da Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil proprio in occasione del primo dei due incontri già saltati al Mise. Per queste ragioni, le organizzazioni sindacali hanno inviato al ministro Di Maio anche la piattaforma sui contact center nella quale sono indicate le loro proposte per permettere un futuro dignitoso al settore e alle migliaia di lavoratrici e lavoratori che ci lavorano.

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