A marzo le retribuzioni contrattuali orarie restano ferme rispetto a febbraio. Lo rileva l'Istat, che segna un aumento dell'1,4% su base annua. Si amplia così la forbice tra l'inflazione (+0,4%) e l'andamento dei salari, a favore di quest'ultimi. Il divario sale a un punto percentuale, come non accadeva da giugno 2010, ma si spiega tutto con la frenata dei prezzi.
Lo 'spread' tra l'andamento dei prezzi e quello degli stipendi indica quindi un recupero del potere d'acquisto. Anche se si tratta di una sorta di 'corsa al ribasso'; oppure, si potrebbe dire, di una competizione tra cosa cresce meno tra inflazione e retribuzioni. Oggi si assiste, infatti, ad un appiattimento verso il basso. E i valori sono ampiamente al di sotto rispetto a quanto si registrava nel giugno del 2010, quando si rilevò, appunto, una distanza ancora maggiore a favore dei salari, con un distacco di 1,3 punti percentuali (come differenza tra un'inflazione all'1,3% e retribuzioni al 2,6%).
Tornando agli ultimi dati, riferiti a marzo, il dato complessivo su base annua è il frutto di un aumento dell'1,9% per i dipendenti del settore privato, a fronte di una crescita 'zero' per quelli della pubblica amministrazione. Nel dettaglio, spiega sempre l'Istat, i settori che presentano gli incrementi tendenziali maggiori sono: telecomunicazioni (4,0%), agricoltura (3,3%), energia elettrica e gas (3,0%). Guardando all'attività contrattuale, tra gli accordi monitorati dall'indagine, a marzo ne è stato recepito uno (servizi portuali). Quanto ai mesi di attesa per i lavoratori con il contratto scaduto, sono in media 27,2: una durata superiore ai due anni, pur se in lieve diminuzione rispetto allo stesso mese del 2013 (28,8 mesi).
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