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Io ti cercherò, dannazione e rinascita di un padre

Io ti cercherò, dannazione e rinascita di un padre

Non solo giallo, Bavastro va dritto ai sentimenti più profondi

ROMA, 27 novembre 2020, 20:09

Michele Cassano

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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MASSIMO BAVASTRO, IO TI CERCHERO' (Longanesi, 345 PP., 16,90 EURO) Io ti cercherò è uno di quei libri che si divorano, perché ha una trama coinvolgente, attenta al dettaglio e non priva di colpi di scena, ma soprattutto perché va a toccare i sentimenti più profondi, con tutte le loro contraddizioni.
    E' impossibile non solidarizzare con Valerio, l'ex poliziotto protagonista del romanzo, vittima un po' degli altri, un po' di se stesso, ridotto a una larva umana per le ingiustizie subite, ma soprattutto per il rimorso, costretto com'è a continuare ad andare avanti solo per portare a termine la sua missione. Non ha tempo di prendersi cura di sé. Il suo cuore malato può anche fermarsi definitivamente, deve dargli solo il tempo di capire chi ha ucciso suo figlio Ettore, ma prima ancora chi era suo figlio.
    Tratto dalla omonima serie, andata in onda su Rai1, il nuovo libro di Massimo Bavastro, che ha scritto anche la sceneggiatura con Leonardo Fasoli, Maddalena Ravagli e Monica Rametta, va oltre la versione televisiva del giallo, ambientato in una Roma cupa, sciatta, palcoscenico meraviglioso di vite disperate.
    L'autore scava nei personaggi, nei loro pensieri, nelle loro paure, nelle loro debolezze, ma soprattutto nel rapporto, unico e tragico, tra padre e figlio. Un padre non è altro che un uomo che fallisce ogni giorno, che cresce prima ancora di far crescere, scrisse Michael Chabon in "Uomini si diventa". Così Valerio riesce a trovare la vera essenza delle cose, a liberarsi della corazza che gli impediva di andare oltre, solo superando il dramma della morte.
    L'autore descrive il plasmarsi a vicenda tra padre e figlio, il crescere all'unisono, la tenerezza dei gesti e delle parole.
    La magia dell'essere genitori. E allo stesso tempo richiama l'assoluta caducità di ogni cosa. La maledizione dell'essere umano che si lascia sfuggire tutto dalle mani in un attimo, quasi impotente. Valerio perde gli affetti, la ragione stessa della vita, per orgoglio, ostinazione, a volte semplicemente per stupidità, per rendersi conto troppo tardi di aver mandato tutto, forse definitivamente, in malora.
    E' un uomo cresciuto tra le certezze della famiglia, il rispetto della divisa, ha una vita segnata. Solo quando viene ingiustamente espulso dalla polizia, comprende l'ipocrisia di quella comunità che lo lascia solo di fronte al mondo, dove a prenderlo per mano può essere solo Sara, che lo ama di un amore impossibile, interrotto. "Forse in un'altra vita", chissà. In questa Valerio è svuotato. Quel figlio gli tendeva la mano e lui non l'ha mai presa.
    Ettore non ha scelto la divisa, frequenta i centri sociali, soccorre gli immigrati, sostiene la loro causa anche a costo di infrangere le regole. E' dall'altra parte della parte della barricata, anche quando occupa un edificio abbandonato nella periferia romana, per dare ospitalità e una speranza ai disperati di questo mondo, e suo padre è tra gli agenti schierati per farlo sgomberare. Valerio è l'immagine dei poliziotti degli scontri di Valle Giulia, descritti da Pier Paolo Pasolini: vestiti come pagliacci, senza più sorriso, senza più amicizia col mondo, separati, esclusi, umiliati dalla perdita della qualità di uomini per quella di poliziotti.
    Ettore gli parla invano, cerca di fargli comprendere che la verità non è mai scontata. Che la legge può essere anche ingiusta, perché difende interessi malati e opprime i deboli. E' l'eterna lotta tra il potere e contropotere, che spesso vede schierati su fronti opposti uomini solo apparentemente diversi.
    Valerio lo capisce troppo tardi, ma lo capisce, in una catarsi che si compie proprio in un centro sociale. Frequenta gli amici del figlio, entra nel suo mondo, si rende conto finalmente di chi era e di quali erano le sue ragioni. Al lettore resta da immaginare che possa portarle avanti nel resto nella sua vita, per la memoria del figlio e per il futuro del nipote. Il seme piantato da Ettore, simbolo di speranza e ultimo regalo per un padre che non vedrà mai più.
   

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