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Vinci, scrivere se stessa nel bianco

Vinci, scrivere se stessa nel bianco

Noia e scoperte in un viaggio tra i ghiacci della Groenlandia

ROMA, 01 ottobre 2020, 15:26

di Paolo Petroni

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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SIMONA VINCI, ''NEL BIANCO'' (NERI POZZA, pp. 206 - 17,00 euro) - ''A me interessa soprattutto l'abitudine: riuscire a restare in un posto abbastanza a lungo da annoiarmici, perché sono convinta che è solo nella noia che di colpo le cose si svelano nella loro luce più vera'' inizia così questo resoconto, racconto, inchiesta di viaggio di Simona Vinci alla vigilia dei suoi 40 anni, a Tasiilaq, un paesino della Groenlandia nel distretto di Ammassalik lontano da tutto, tra nevi e ghiacci che sono una sfida quotidiana, ma anche rappresentano un assoluto, anche una bellezza assoluta, da vivere e scoprire in solitudine, sino a ''non sapere più di preciso chi si era prima di partire'', perché un viaggio è scoperta dell'altro, ma anche di sé , e un viaggio così è un percorso al fondo di se stessi.
    Un libro che coinvolge, per la scrittura diretta, da diario, nitida, scorrevole e in cui si avverte, assieme alla coscienza letteraria (e alcuni intermezzi narrativi, veri racconti sul tema ma a parte), un fondo di verità, un mettersi in gioco, come davanti a una pagina bianca, come quella mattina in cui ''Le montagne sono scomparse. Il fiordo è scomparso. E' scomparso il paese, le case, le strade. Il mondo là fuori è bianco, senza forma, la consistenza del latte cagliato''.
    C'è insomma la maestà della natura, c'è il viaggio in slitta con i cani che pare un viaggio nel nulla e fuori del tempo (pagine molto belle), e la scoperta che ''le storie esistono perché esiste il tempo misurato. E per la Natura, il tempo misurato, scandito, selezionato, non ha alcun senso. Non esiste tempo. La natura non ha modo di raccontarsi, siamo noi a farlo per lei. Senza uomini non c'è racconto''. E allora la Vinci a questi presta attenzione e cerca le loro tracce nel deserto di ghiaccio in cui vivono. E si capisce a poco a poco che non siamo nella purezza primordiale, in un mondo immacolato e 'altro', almeno all'inizio di questo secondo millennio, se Marzio G.
    Mian, che scrive una nota introduttiva a questa ristampa dopo dieci anni di ''Nel bianco'', suggerisce che il libro avrebbe potuto intitolarsi, parafrasando Lévi-Strauss, ''Triste Artico''.
    La Vinci scopre, poco prima che scoppiasse il boom turistico della Groenlandia, che Tasiilaq ha 1903 abitanti e le case non hanno acqua corrente né scarichi fognari, l'alcolismo è la piaga più diffusa e crea violenza gratuita, i suicidi un problema specie tra i giovani, vittime di sogni e idoli di un consumismo lontano ma strisciante tra far musica, festicciole, e usare Internet senza saper realmente, concretamente che fare del proprio futuro in un posto simile. Le ragazzine di quindici anni, in un luogo dove tradizionalmente gli inuit hanno sempre fatto figli presto e visti come una benedizione, mettono al mondo bambini che poi mollano alle nonne, perché loro devono andarsene in giro per il paese a bere birra e ciondolare. Un modo dalle sue leggi particolari libere e solidali in cui tutto sta cambiando rapidamente, occidentalizzandosi come mentalità, in una realtà però molto diversa.
    Così l'autrice non può che annotare: ''La mia solitudine qui è totale. Ma non è la solitudine che volevo. Ho paura di tutto e mi sento lontanissima da casa, la bellezza del paesaggio non compensa in alcun modo la desolazione che vedo''. E la conclusione, oltre all'aver fatto alcuni conti con se stessa, è semplicemente, citando Bill Holm, che ''gli umani viaggiano per vedere più chiaramente il posto da cui provengono'', il posto che chiamano casa.
   

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