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Biloslavo e Micalessin, reporter di guerra

Corredato da foto, i conflitti più terribili da Cecenia a Mosul

(ANSA) - TRIESTE, 21 FEB - FAUSTO BILOSLAVO E GIAN MICALESSIN, GUERRA GUERRA GUERRA (Mondadori, pp.251,24,90 euro)

C'è un quesito non scritto, ma che aleggia, in sospeso, una volta terminata la lettura di 'Guerra guerra guerra' dei due coraggiosi reporter di guerra Fausto Biloslavo e Gian Micalessin: perché nonostante l'evoluzione e il progresso della vita dell'uomo sulla Terra, ancora tante questioni vengano risolte con il più brutale e preistorico dei comportamenti umani, la guerra? Evidentemente, la pulsione aggressiva è uno degli aspetti della personalità dell'essere umano più impermeabile al contesto in cui questi vive, e dalla molteplice utilità. Il libro non è un saggio ma la modalità reiterata, costante dei conflitti, sempre uguali, mettono a nudo un terribile istinto di violenza nell'individuo, quasi un bisogno di lasciar esplodere una violenza covata, di commettere massacri, ingiustizie, soprusi.

Gli oltre trenta anni di guadagnata professione di Biloslavo e Micalessin sono sintetizzati in un interessante, franco catalogo di atrocità (ma anche di splendidi esempi di generosità, altruismo, correttezza ed eroismo), testimoniate in un paio di centinaia di pagine e in una ottantina di foto a corredo di tanti dei conflitti scatenatisi in ogni parte del mondo in questo arco temporale. Dunque, il mattatoio ceceno, lo scannatoio ruandese, la guerra sporca nei Balcani e quella sempiterna dell'Afghanistan. Fino alle fantasiose crudeltà su larga scala dell'Isis, utilizzate anche come metodo di propaganda.

Il libro gronda dell'adrenalina dei protagonisti, forse l'unica ragione a spingere questi due tranquilli triestini (tre con il compianto Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 mentre riprendeva alcune scene della guerra in Mozambico), figli di esuli istriani, a infilarsi - armati solo di taccuino, macchina fotografica e telecamera - nelle situazioni più pericolose e disagiate sulla Terra. Tanto pericolose che Biloslavo racconta il finto incidente stradale occorsogli in Afghanistan, causato invece proditoriamente dalla polizia segreta del Paese, manovrata dai sovietici, e dal quale si salvò miracolosamente.

Aveva 26 anni e un gigantesco camion gli passò addosso: non rimase spappolato soltanto perché cadde in una buca che attutì l'impatto. Ma sarebbe rimasto tre mesi immobilizzato a letto e i successivi sei su una sedia a rotelle. Anche i sette mesi di prigionia, dal 14 novembre 1987, dopo due mesi di reportage clandestino con i mujaheddin di Ahmad Shah Massoud sono da incorniciare. Colpisce anche del libro il fatto che, appunto, si tratti di Mosul o della Sirte, della Birmania o dell'Angola, dei dushman (nemici, i talebani) o degli shahid (martiri suicida), Gaza, Romania o Sierra Leone, le guerre si somigliano tutte, così come le fake news che intorno a queste si raccontano. Alcune delle quali sono svelate in queste pagine.

Tra i tanti caduti senza nome né tomba, da una parte e dall' altra, gli autori dedicano un capitolo ai colleghi e amici che non ci sono più: Grilz, appunto, Ilaria Alpi, Maria Grazia Cutuli, Raffaele Ciriello, una lista, anche questa, che si allunga di anno in anno.

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