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Di chi è Anna Frank? secondo la Ozyck

Di chi è Anna Frank? secondo la Ozyck

Una messa in discussione sull'uso del ricordo oggi della shoah

ROMA, 27 gennaio 2019, 14:15

Paolo Petroni

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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CYNTHIA OZICK, ''DI CHI E' ANNE FRANK?'' (LA NAVE DI TESEO, pp. 80, euro 7,00 - traduzione di Chiara Spaziani).
    Il ''Diario'' di Anna Frank è certamente oggi un punto di riferimento per quel che riguarda la memoria della Shoah, il libro diventato simbolo della persecuzione degli ebrei grazie alla naturalezza e la semplicità della forza comunicativa della scrittura della giovane autrice allora tredicenne, col suo sguardo intelligentemente indagatore e con un filo di ironia che rivela la sostanza intima delle cose e aiuta a dar loro un valore universale, pur scrivendo chiusa in un nascondiglio segreto con la sua famiglia, fino al giorno in cui una delazione li fa arrestare e finire ad Aushwitz e Bergen Belsen, dove lei muore nel marzo del '45. Nel 2019 Anna avrebbe compiuto 90 anni e quindi sarebbe facile dedicarle questa Giornata della memoria, ma bisogna essere molto prudenti secondo una scrittrice ebrea americana di riconosciuta e pluripremiata levatura come Cynthia Ozick, coeva di Anna avendo fatto 90 anni l'anno appena passato, autrice di molti libri sofferti tra cui ''Lo scialle'' (proprio dedicato al tema dell'Olocausto) e ''Eredi di un mondo lucente'' (su una famiglia ebrea fuggita in America poco dopo l'avvento di Hitler al potere), la quale sostiene che tutta l'attenzione che nel tempo è andata al ''Diario'' ne ha stravolto la forza e la nettezza della implicita denuncia storica. Così in questo suo saggio del 1997 oggi riproposto in italiano mette in guardia dalla lettura ''astrattamente buonista'' di Anna Frank (affidandosi a una sua unica frase: ''Nonostante tutto, tuttavia credo nell'intima bontà dell'uomo'') accusando poi principalmente la visione consolatoria che esce dall'adattamento teatrale del Diario e soprattutto dal seguente film di George Stevens ''superficiale e ottimistica lettura che generalizza le radici dell'odio'', quasi mettendo da parte l'atroce fine della ragazza nei lager tedeschi, ''tradotta, ridotta.... resa infantile, americana, uniforme, sentimentale.... falsificata, volgarizzata e di fatto spudoratamente negata'' nel suo dolore, nella sua paura costante del nulla che può ingoiarla da un momento all'altro, come avverrà, per metterne invece in risalto una discutibile, fiduciosa forza d'animo.
    La depravazione e la perversione dei nazisti, il male che consuma la protagonista sono attenuati e superati dall'ammirazione verso la forza inarrestabile del suo spirito umano, a dimostrare in modo evidente come ci sia una volontà di non voler vedere quello che la Shoah realmente è stata: ''Credere che il Diario sia 'una canzone per la vita' significa crogiolarsi in una mostruosa innocenza''. E la Ozik costruisce il suo discorso in un ustionante crescendo di affermazioni sempre più drastiche incitando a non trasformare un omicidio di massa nel mero sfondo di vicissitudini e speranze di un'adolescente, soprattutto per non cadere in una forma di revisionismo non meno pericolosa della stessa negazione della Shoah. Un discorso che ha le sue ragioni, umane, storiche, legate anche una società che sempre di più consuma velocemente e riduce a merce, triturando tutto sino a fargli perdere ogni carattere e identità, in un mondo in cui l'antisemitismo sta rimontando pericolosamente, magari sovrapponendolo all'antisionismo, ma allo stesso tempo discutibile oggi, quando ogni memoria va rivalutata e salvaguardata mentre vengono meno gli ultimi testimoni diretti, quando la denunzia di quegli orrori non va identificata solo con la sofferenza ebraica, ma deve essere rivendicata da tutti, a prescindere da razze e religioni.
    Altrimenti si finisce per dire, come hanno titolato i giornali, ''indignazione della comunità ebraica'', davanti a profanazioni razziste come il furto a Roma di alcune pietre di inciampo, che dovrebbero sollevare e per fortuna sollevano l'indignazione di chiunque spera una certa storia si riesca a non farla mai più ripetere in nome della dignità dell'essere umano.
   

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