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Insegnare l'Arte, si può?

Insegnare l'Arte, si può?

Tra musei e Accademie, Evola firma La funzione moderna dell'Arte

ROMA, 25 gennaio 2019, 20:38

Daniela Giammusso

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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  DARIO EVOLA, LA FUNZIONE MODERNA DELL'ARTE (MIMESIS, pp.256, 26,00 EURO). Qual'è il senso dell'arte oggi? Quale il suo ruolo e le sue possibilità, una volta esaurite le grandi spinte della rivoluzione dell'età moderna? E soprattutto, l'arte si può insegnare? Sono alcuni dei temi cui cerca di rispondere Dario Evola, insegnante di Estetica all'Accademia di Belle Arti di Roma e membro della Società Italiana d'Estetica, nel suo ultimo lavoro: ''La funzione moderna dell'arte'', che Mimesis pubblica nella collana Forme del possibile.
    Correndo lungo il doppio binario del rapporto arte-vita e arte-formazione, il volume si interroga a partire dalla nascita, nel XVIII secolo, di tre istituzioni che segnarono una svolta nella storia del pensiero occidentale: il Museo moderno, l'Accademia di Belle Arti e l'Estetica. ''In particolare - racconta l'autore presentando il volume alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma - l'avvento del museo moderno, inteso come museo-laboratorio, lo dobbiamo alla Roma dei Papi, che non solo aprirono i Capitolini, ma favorirono l''esperienza', fornendo matite e carta per disegnare o promuovendo la vendita di cataloghi. Inizia così l'idea del Grand Tour. Ci sono poi le Accademie, completamente ripensate, in cui l'artista non è più solo l'esecutore di bottega ma un intellettuale, consapevole della sua funzione progettuale e del suo ruolo sociale. Penso all'Accademia di Firenze del Vasari e la San Luca di Roma''. L'estetica infine ridefinisce la teoria del bello sensibile come azione intellettuale critica, giudizio, gusto. I salons di Diderot, le mostre, il mercato, aprono un nuovo sguardo da Winckelmann a Canova, Kant e l'Encyclopédie.
    L'arte diventa ''scienza dell'arte'', mezzo di conoscenza e identità. Il XIX secolo con la rivoluzione industriale, la macchina, la fotografia e il cinema, apre una nuova fase, che si sviluppa nel Novecento all'insegna della riproducibilità tecnica, della perdita dell'aura e della consapevolezza del disagio sociale nella metropoli. Il museo diventa luogo produttore di un nuovo immaginario che come l'arte non riproduce ma riconfigura sguardi e narrazioni ''out of the joint'', per citare l'esposizione permanente della collezione della Gnam.
    ''Il tempo fuori dai suoi cardini - prosegue Evola - è l'unica risposta possibile in questo spaventoso processo di omologazione e mancanza di orizzonti che le strutture sociali, politiche ed estetiche hanno costruito. Che si tratti di un pittore o un attore, l'essenza del lavoro artistico si gioca su tre istanze: imparare, praticare, produrre. Oggi invece siamo davanti non solo alla banalizzazione del pensiero unico, ma viviamo l'assenza del tragico, la mancanza di consapevolezza. E l'arte è entrata nella sfera della comunicazione, si è appiattita su questo processo, tornando nuovamente al ruolo di servitù''. E allora il grande tema diventa, si può insegnare l'Arte? ''Due paradigmi vanno rovesciati - continua Evola, sollevando anche l'annoso problema dell'equiparazione del titolo di studio tra Accademie d'arte e Università - Ovvero che con la cultura non si campa, frase molto grave se detta in Italia, per di più in una sede istituzionale; e lo stress dei beni culturali. I musei - spiega - non dovrebbero produrre economia, come si vuole oggi, ma pensiero, ricerca. Su questo dobbiamo lavorare molto, metterci insieme, Accademie e Musei. Intendiamoci - sottolinea allontanando l'idea di una cultura d'elite - non è una questione di quantità ma di qualità. Le grandi Esposizioni universali si caratterizzarono proprio sulla possibilità inedita di attirare grandissime masse di spettatori, creando nuovi sguardi ed esperienze estetiche. Da lì, ad esempio, è nato il cinema. Il problema è come si caratterizza l'esperienza. Se non è accompagnata da strumenti, dall'educazione alla ricerca o alla ricezione, è solo spettacolo. Il problema quindi non sono le cene a lume di candela in un museo, ma in quale tipo di esperienza si traduce la visita. Per questo è fondamentale la mediazione culturale e la formazione. Due compiti cui lo Stato in Italia sta venendo meno''.
   

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