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Singer, la volgarità degli ebrei immaginari

Nemici, sbandamenti e paure tra sopravvissuti americani a Shoah

 ISAAC BASHEVIS SINGER, NEMICI (ADELPHI, pp. 258 - 18,00 euro - traduzione di Marina Morpurgo).
    Bisogno d'amore e paura e inettitudine di vivere sono i temi di questo grande romanzo, esaltati dalla realtà piena di incubi ma assetata di vita di chi è scampato all'olocausto e si sente diviso tra la fedeltà al passato, alla sua identità, e il bisogno di ricominciare. Siamo in America poco dopo la fine della guerra, nella New York anni Cinquanta in cui Herman Broder, scampato ai lager dopo l'uccisione di sua moglie e dei suoi figli perché nascosto in un fienile da una contadina cattolica polacca che era a servizio in casa dei suoi, campa praticamente alla giornata incapace ormai di organizzare in qualche modo il suo lavoro e la sua vita sempre più confusa e difficile da gestire, specie senza una lira in tasca e dovendo far continuamente fronte a tutte le menzogne che dice. Sul lavoro, presso un rabbino, non ha il coraggio di dire che convive con una gentile, Jadwiga, la donna che l'ha salvato e ha portato con sé oltreoceano. A quest'ultima, che nella grande città ha paura di muoversi, racconta di essere un venditore porta a porta di libri, così da poterle far credere di doversi assentare per andare a Filadelfia o Baltimora, in realtà per andare a dormire dall'amante Masha, donna ebrea sensuale e bella di cui non riesce a fare a meno, sopravvissuta al lager, di cui porta i segni sulla pelle e nell'anima. Ora fa la cassiera in una tavola calda e dopo lo scambio di fantasie erotiche e giochi sessuali con Herman che da lei ha in affitto una stanza, lo insulta e accusa di stare con quella serva ignorante invece di lasciarla e sposare lei, che però vive con un'anziana madre tutta devozioni che sta sempre chiusa in casa per paura dei tedeschi. Una paura che attanaglia anche Herman, che, pur sapendo di essere oramai in America, in mille occasioni girando per strada immagina di trovarsi davanti i nazisti e fantastica cosa potrebbe fare per sfuggirli, dove nascondersi.
    La verità è che Masha, pur con tutto il suo passato, ha conservato istinti normali e vitalità volta al futuro, mentre Herman ''non era una vittima di Hitler, era già una vittima ben prima di Hitler''. A complicare la sua situazione faticosa, boccaccesca e dolorosa, un giorno arriva la sua prima moglie Tamara, rediviva, visto che si sapeva uccisa dalle SS con i figli, e invece riuscita a sopravvivere a loro e a fuggire in Russia e essere internata in un campo di lavoro. L'incontro con lei ha una carica d'umanità, sentimenti, gelosie e dolcezze, una naturalezza poetica e una disperazione ormai sublimata, con il piccolo David e la piccola Yocheved che continuano a venire da lei ''non nei sogni, ma quando sono sveglia'', perché ''le anime esistono; è Dio che non esiste, se è riuscito ad assistere a questi orrori e rimanere in silenzio''. Si apre così per Herman, che rifiuta il divorzio che gli viene offerto, un terzo fronte ricomparso dal passato, che sarà l'unico mosso da vera forza d'amore, fatto di curiosità, comprensione, perché Tamara ''è un angelo abituato ormai a cavarsela'' in ogni circostanza, compreso il finale a sorpresa nel segno della solidarietà, più tra sopravvissuti che tra donne.
    La narrazione, ricca e avvincente, come è necessità di un racconto comparso a puntate su un giornale yiddish negli anni '60, serve a Singer per raccontare cosa sia l'ebraismo e cosa fosse in America in quegli anni, con quartieri ebraici connotati dai paesi di provenienza degli abitanti di cui rinfocolavano le rivalità religiose e campanilistiche, mentre c'erano famiglie che avevano ripreso nei particolari tutti gli aspetti della loro vita ebraica in Polonia, sin nei minimi dettagli. Tutto mentre la vita riprende e davanti alla sguaiatezza del quotidiano in un albergo su un lago pieno di ebrei, Herman osserva come ''la volgarità in quella sala negasse il senso della creazione, fosse un insulto alle sofferenze della Shoah'', pur essendo ''alcuni degli ospiti scampati al terrore nazista''. Con tristezza è convinto che a garantire la sopravvivenza sia solo ''la scaltrezza'', era sicuro andasse sempre così, da quando era comparsa la vita sulla terra sino al dramma biologico finale: ''gli animali avevano accettato la precarietà dell'esistenza e la necessità della fuga e dell'astuzia; solo l'uomo cercava la sicurezza e invece riusciva a causare la propria rovina'' concludendo che ''la Bibbia, il Talamud, i Commentari avevano insegnato agli ebrei una strategia, una sola: fuggite dal male, nascondetevi dai pericoli, evitate le rese dei conti, tenetevi distanti più che potete dalle forze colleriche dell'universo''.
   

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